LA MASSIMA I principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata.
IL CASO Con sentenza del 31 maggio 2018 la Corte d’Appello di Caltanissetta respingeva la proposta, avanzata nell’interesse del ricorrente, di revisione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo il 15 febbraio 1999, irrevocabile il 13 giugno 2000, con la quale l’interessato era stato condannato per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, di cui agli artt. 110 e 416 bis, c.p.. La condanna si riferiva a fatti che vedevano l’imputato prestare apporto all’associazione mafiosa denominata cosa nostra, fino al 5 febbraio 1994. La Corte d’Appello di Caltanissetta fondava la sua decisione sull’assunto che, anche se la revisione europea ex art. 630 c.p., come modificato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2011, è strumento esperibile per denunciare la violazione di precetti anche sostanziali della CEDU verificatasi in processi già definiti, nel caso specifico non era ravvisabile la violazione dell’art. 7 di detta Convenzione. Secondo la Corte di merito, infatti, benché fosse ravvisabile il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in riferimento a condotte precedenti rispetto alla sentenza delle Sezioni Unite Demitry del 1994, che aveva risolto positivamente il contrasto in merito alla configurabilità della fattispecie in esame, non poteva ravvisarsi per ciò solo un vulnus di sistema in ordine alla prevedibilità del reato. L’incriminazione in questione, infatti, risulta dal combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis, c.p. e, con la sentenza Demitry, la Corte di Cassazione ha solo ammesso la responsabilità anche del soggetto agente che apporti un contributo al sodalizio non in qualità di associato ma di concorrente esterno. Pertanto, la Corte avrebbe risolto un dubbio interpretativo e non dato origine ad un reato di matrice giurisprudenziale, inammissibile nel sistema penale italiano in virtù del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. La Corte di Appello adita, dunque, ha respinto la richiesta del ricorrente in base all’assunto secondo cui i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU n. 3 del 14/04/2015 nel caso Contrada contro Italia, che aveva condannato lo Stato italiano a risarcire l’imputato, condannato definitivamente per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1994, non potessero estendersi a casi analoghi. L’imputato presentava quindi ricorso per Cassazione lamentando l’inosservanza dell’art. 630 c.p.p., come modificato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2011 e la contrarietà e la manifesta illogicità in relazione all’esercizio del potere – dovere di revisione della condanna. Le doglianze si basavano sul fatto che la Corte di merito avrebbe erroneamente negato estensione generale ai principi di diritto enunciati dalla sentenza Contrada. Il ricorrente sostiene, inoltre, che la Corte d’Appello, una volta rilevato il contrasto tra la pronuncia della Corte EDU ed i principi fondamentali del diritto italiano, avrebbe dovuto sollevare questione d legittimità costituzionale, sollecitando l’intervento dei “contro limiti” in relazione all’art. 630 c.p.p. e non, semplicemente, disapplicare la sentenza EDU. La pronuncia della Corte europea viene considerata dall’imputato come avente portata vincolante in quanto espressione di un principio consolidato nella giurisprudenza europea, quale quello dell’irretroattività della norma penale incriminatrice, valevole anche per il diritto di creazione giurisprudenziale. L’imputato ha quindi chiesto che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto interpretativo vertente su tre questioni principali. Innanzitutto si controverte sulla portata generale della sentenza Contrada. Da ciò consegue il dubbio in merito alla valenza erga alios della pronuncia nell’ambito del giudizio di revisione. Infine si richiede l’interpretazione in merito allo strumento utilizzabile da chi, condannato definitivamente per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, si trovi in una situazione analoga a quella esaminata nel caso Contrada. La questione veniva inizialmente rimessa alla Sez. VI° la quale affermava innanzitutto che, per gli imputati condannati definitivamente in situazione analoga a quella di altro soggetto, che abbia ottenuto dalla Corte EDU l’accertamento della violazione delle norme di diritto sostanziale, l’unico rimedio esperibile è costituito dall’incidente di esecuzione. Tuttavia, ciò è possibile solo ove tale soluzione non comporti la riapertura del processo già definito o l’esercizio di poteri preclusi al giudice dell’esecuzione. Il rimedio della revisione europea è infatti esperibile solo allorché risulti necessario attuare sentenze di condanna emesse dalla Corte nei confronti dello Stato. La Sezione VI° individua poi due orientamenti interpretativi con riferimento alla questione degli effetti prodotti dalla sentenza Contrada all’interno dello Stato italiano. Secondo un primo orientamento, la pronuncia in questione non produrrebbe effetti all’esterno rispetto al caso giudicato. La revisione europea in base ad una sentenza della Corte EDU andrebbe, dunque, esperita solo ove la pronuncia venga definita come sentenza pilota, oppure qualora si rilevi un difetto strutturale del sistema derivante dall’applicazione di una data norma; ciò però a condizione che si sollevi incidente di costituzionalità per contrasto con l’art. 117 Cost. Un seconda soluzione interpretativa propone l’esperimento della revisione europea solo a condizione che la violazione delle norme e, quindi, il difetto struttale venga affermato da una sentenza della Corte EDU. Viene negata però l’efficacia erga alios degli effetti della decisione ed il giudicato può essere rimosso solo ai sensi e per gli effetti dell’art. 673 c.p.p.. Infine, una terza interpretazione sostiene che, poiché la sentenza Contrada avrebbe rilevato un difetto di prevedibilità del reato censurato, agli illeciti di concorso esterno in associazione mafiosa commessi prima di tale pronuncia, non sarebbe più applicabile la fattispecie come risultante dall’interpretazione operata dalla sentenza Demitry. La questione dello strumento esperibile, al fine di non operare disparità di trattamento, resta dubbia. Il ricorrente, pertanto, invocando l’art. 46 CEDU che impone l’obbligo di conformazione da parte degli Stati facenti parte della Convenzione, chiedeva l’estensione dei principi esposti nella sentenza Contrada al proprio caso, analogo e sovrapponibile al suddetto. Con decreto del 5 giugno 2019, il ricorso veniva dunque assegnato alle Sezioni Unite.
LA QUESTIONE La questione su cui le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi consiste nello stabilire se la sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015 sul caso Contrada abbia una portata generale, estensibile nei confronti di coloro che, estranei al giudizio, si trovino nella stessa posizione del predetto imputato e, di conseguenza, quale sia il rimedio esperibile da questi ultimi, qualora fosse necessario conformarsi alla pronuncia in questione. La Corte di Cassazione ripercorre le differenti linee interpretative, ricordando che, secondo uno degli orientamenti principali, la sentenza Contrada non costituisce una sentenza “pilota”. Pertanto non avrebbe un carattere estensibile all’esterno del giudizio e la violazione rilevata nel caso in questione, andrebbe accertato in concreto nei differenti giudizi. Nel caso Contrada infatti la Corte EDU avrebbe riscontrato solo un difetto di prevedibilità della qualificazione giuridica del comportamento di agevolazione dell’associazione mafiosa. Conseguentemente, l’unico rimedio esperibile sarebbe la questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117 Cost. e, solo qualora intervenga una pronuncia di incostituzionalità, sarebbe possibile proporre la richiesta di revisione europea o l’incidente di esecuzione a differenza dei casi. Un orientamento ancora più restrittivo e conforme ai principi di stretta legalità e tassatività in materia penale, esclude prioritariamente l’ammissibilità di una fattispecie penale di creazione giurisprudenziale sostenendo, dunque, che l’obbligo di conformazione derivante dall’art. 46 CEDU riguardi esclusivamente la vicenda relativa all’imputato Contrada. I principi della sentenza in questione, in nessun caso, sarebbero applicabili in processi analoghi. Al fine di dirimere il contrasto interpretativo, le Sezioni Unite operano un’analisi dei principi espressi dalla sentenza Contrada. Si rileva infatti che, secondo l’elaborazione della Corte EDU, il soggetto in questione è stato condannato per un reato commesso in un periodo in cui non ne era stata ancora ammessa pacificamente l’ammissibilità. Poiché, infatti, le condotte incriminate sono state poste in essere dal Contrada prima del 1994, anno in cui le Sezioni Unite Demitry hanno risolto la questione di diritto ammendo la responsabilità del concorrente esterno nel reato di cui all’art. 416 bis c.p., la condanna inflitta per tale illecito avrebbe violato l’art. 7 CEDU. La Corte Europea ha rilevato, dunque, un difetto di prevedibilità delle norme incriminatrici addebitate al Contrada, con conseguente violazione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege. La Corte EDU parte dunque dall’assunto che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa avrebbe origine giurisprudenziale, trovando esplicita ammissione solo con la sentenza Demitry del 1994. Le Sezioni Unite ricordano che, secondo il disposto dell’art. 61 del regolamento CEDU, i principi di una pronuncia emessa dalla Corte Europea possono essere estesi al di fuori del giudizio concreto solo qualora venga rilevato un difetto strutturale nel sistema legislativo di uno Stato, ricavabile dalla proposizione di più ricorsi di identico contenuto. In conseguenza di ciò è possibile attribuire alla decisione la qualità di sentenza “pilota” che indichi allo Stato la natura della questione giuridica e le misure da adottare per risolverla in via generale. Un ulteriore caso in cui una pronuncia CEDU è suscettibile di estensione all’esterno del giudizio riguarda l’ipotesi in cui essa, pur non presentando le caratteristiche di una sentenza “pilota”, faccia emergere violazioni della Convenzione in tema di diritti della persona tali da giustificare che la decisione venga considerata di portata generale. Si richiamano, poi, i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in merito all’autonomia interpretativa del Giudice nazionale ed al dovere dello Stato di collaborazione con la Corte EDU. Si evidenzia che, in base agli arresti della Corte Costituzionale, è stato affermato che il Giudice interno, nell’applicazione delle norme dell’ordinamento, deve conformarsi ai contenuti della giurisprudenza europea consolidatasi. Qualora il Giudice ravvisi un contrasto tra i principi CEDU e la Costituzione, non può disapplicarla ma è tenuto a sollevare questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 117 Cost. Laddove invece il presunto contrasto emerga tra la Carta Costituzionale ed il diritto CEDU non consolidato, il solo dubbio comporta la necessità di un’interpretazione costituzionalmente conforme che deve prevalere. La Corte dunque mette in evidenza che il Giudice nazionale resta soggetto soltanto alla legge, conformemente a quanto disposto dall’art. 101 Cost., mantenendo dunque un proprio margine di apprezzamento ed interpretazione. Si ricorda, peraltro, che la Corte Costituzionale ha elaborato dei criteri negativi ad ausilio dell’interprete, finalizzati ad identificare il diritto consolidato. A titolo esemplificativo e non esaustivo è possibile citare l’innovatività del principio enunciato, la ricorrenza di opinioni dissenzienti o punti di disaccordo con altre pronunce della Corte EDU. Qualora ricorrano questi presupposti, il Giudice può non ritenersi vincolato alla linea interpretativa adottata dalla Corte Europea. In ragione di tali considerazioni, le Sezioni Unite affermano che la sentenza Contrada non presenta le caratteristiche della sentenza “pilota” e, dal punto di vista del contenuto, non appare evidenziare la portata generale del pregiudizio arrecato. Infatti, non risulta essere ben chiaro se l’art. 7 CEDU sia stato violato in termini di accertamento della responsabilità penale o con riferimento alla sanzione penale inflitta. Inoltre, la pronuncia manca di qualsiasi indicazione in merito agli eventuali rimedi adottabili al fine di evitare il futuro ripetersi di violazioni analoghe. La Corte analizza, dunque, la possibilità di considerare la sentenza Contrada come pronuncia di portata generale e se sia ravvisabile nell’ordinamento italiano un relativo vulnus di sistema. Si evidenzia, però, che la decisione emessa sul caso Contrada non argomenta in modo da affermare una generalizzata interpretazione in contrasto con la CEDU, relativa al reato di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1994. In ordine poi ai criteri orientativi formulati dalla Corte Costituzionale poc’anzi enunciati, la sentenza in oggetto non esprime un diritto consolidato. Evidenziando i profili critici ed il carattere peculiare della decisione, le Sezioni Unite affermano che quanto statuito nella sentenza Contrada non è vincolante per il Giudice nazionale al di fuori del caso risolto. Non è stato, pertanto, rilevato un generale difetto di prevedibilità in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima della sentenza Demitry del 1994. La Corte infatti sottolinea come la pronuncia Contrada si fondi su un errore giuridico quale quello di considerare il reato di concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso come fattispecie di creazione giurisprudenziale. Si sottolinea, infatti, che l’art. 25 Cost. impone chiaramente il principio di riserva di legge in materia penale che vale, per ciò solo, ad escludere l’ammissibilità di illeciti penali non previsti dalla legge ma dalla giurisprudenza. Tuttavia, la Corte afferma altresì che l’errore più grave consiste nell’aver totalmente pretermesso la base legale su cui si fonda l’illecito in questione, risultante dal combinato disposto della norma di applicazione generale di cui all’art. 110 c.p. e dalla fattispecie incriminatrice ex art. 416 bis c.p. Il reato pertanto non è frutto di mere operazioni ermeneutiche ma si fonda, al contrario, su solidi presupposti legali. Pertanto, le Sezioni Unite Demitry hanno proposto una soluzione interpretativa in merito all’ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa, che giungeva a compimento di un processo ermeneutico già consolidato riguardante la configurabilità di illeciti di concorso esterno in reati plurisoggettivi. Non viene, dunque, rilevato un deficit strutturale all’interno dell’ordinamento italiano né un difetto di prevedibilità delle condotte integranti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima della pronuncia delle Sezioni Unite Demitry.
LA SOLUZIONE Come conseguenza dell’articolato ragionamento condotto e della ricostruzione dei principali orientamenti giurisprudenziali, le Sezioni Unite hanno dichiarato l’infondatezza del ricorso proposto in quanto non vi era possibilità per il ricorrente di chiedere l’estensione in via generale dei principi esposti nella sentenza Contrada. Poiché il giudicato di condanna non rivela profili di contrasto con la CEDU, la Corte ha respinto altresì la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale in merito agli artt. 630 e 673, c.p.p.
Segnalazione a cura di Lucia Marchegiani
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