MASSIMA:
“I principi affermati dalla sentenza della CEDU, sez. IV, 14 aprile 2015 n. 66655/13 ( cd. Sentenza Contrada) non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata”
IL CASO:
I fatti oggetto della presente pronuncia hanno avuto inizio con un’istanza di revisione (ex art. 630 c.p.p.) presentata dal ricorrente avverso la sentenza del 3 ottobre 2001, divenuta irrevocabile, con la quale la Corte d’Appello lo aveva condannato in relazione ai reati di cui agli artt. 319 c.p., 110 e 426 bis c.p.
Successivamente, con ordinanza, la Corte d’Appello, ritenendo non vi fossero i presupposti per l’instaurazione di un giudizio di revisione, rigettava l’istanza.
Avverso l’ordinanza di rigetto, il difensore del ricorrente presentava ricorso deducendo, in primo luogo, la violazione di legge, in relazione agli artt. 117 Cost., art. 46, 32, 13 e 14 CEDU, nonché degli artt. 2, 24, 97 e 111 Cost e 629 e 630 c.p.p..
Il ricorrente, inoltre, lamentava un vizio di motivazione dell’ordinanza della Corte d’Appello, per aver omesso di applicare la disciplina della revisione europea, che avrebbe consentito di estendere, al caso di specie, gli effetti della sentenza della CEDU del caso Contrada, a fronte dell’identità di situazione in cui si era trovato il ricorrente al momento della commissione del fatto, caratterizzata da un deficit di prevedibilità in relazione al reato contestato.
In ultimo, in via subordinata, veniva sollevata, una questione di legittimità costituzionale in relazione all’ art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede che possa essere richiesta la revisione della sentenza o del decreto penale di condanna per conformarsi ad una sentenza Cedu, emessa nei confronti di un altro soggetto che si trovi in condizioni identiche.
LA QUESTIONE:
La pronuncia in esame involge una tematica già, ampiamente, affrontata dalla giurisprudenza.
Nel percorso motivazionale, infatti, il giudice di legittimità, nel rigettare il ricorso presentato dal difensore dell’interessato, richiama un recente pronunciamento delle Sezioni unite (n. 8544/2010, Genco), in cui è stata affrontata l’importante questione se, in tema concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, la sentenza emessa dalla Corte Edu in data 14 aprile 2015, relativa al noto Caso Contrada contro Italia, potesse costituire un “leading case”.
In particolare, le Sezioni Unite, in predetta occasione, hanno precisato che l’anzidetta sentenza della Corte di Strasburgo non è una “sentenze pilota” che i giudici europei possono emettere in occasione di una rilevata violazione strutturale dell’ordinamento, quale causa della proposizione di una pluralità di ricorsi di identico contenuto; e neppure una “sentenze c.d. a portata generale” che sia suscettibile di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei riguardi di una pluralità di soggetti, tutti versanti nella stessa condizione.
La Corte, quindi, sulla scia di tale orientamento, condivide le motivazioni addotte dalla Corte d’appello di Messina che, sebbene riferibili ad un momento in cui vigevano oscillazioni esegetiche, oggi risultano in linea con l’interpretazione del massimo organo nomofilattico.
Nel percorso motivazionale, la Corte prosegue precisando che la statuizione adottata nei confronti del Contrada dalla Corte Edu non consente di affermare in termini generalizzanti l’imprevedibilità dell’incriminazione per il reato di cui all’art. 110, 416 bis c.p. per tutti gli imputati italiani condannati per aver commesso fatti prima della sentenza Demitry e non abbiano adito la CEDU al fine di ottenere una pronuncia favorevole.
In ultimo, la Corta adita, escludendo a monte che vi fossero le condizioni per portare le questioni in argomento all’attenzione delle Sezioni Unite, disattende, altresì, la questione prospettata dal ricorrente circa l’illegittimità dell’art. 630 c.p.p., ritenendola manifestamente infondata perché già risolta in precedenza dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 236/2011 e n. 49/2015), nel senso che, nei rapporti tra giudice europeo e giudice interno, hanno valore vincolante, per lo Stato condannato dinnanzi alla Corte sovranazionale, solo le statuizioni contenute in sentenze “ pilota” o in quelle che hanno un valore generale e di principio.
LA SOLUZIONE:
Per le ragioni di carattere sostanziale esposte, la Corte ha rigettato il ricorso presentato dal difensore del ricorrente e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali.
Segnalazione a cura di Maria Rita Siani
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