LA MASSIMA
“In tema di omicidio colposo, l'elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione "ex ante", non avrebbe potuto comunque essere evitato. L'effetto interruttivo del nesso causale è dovuto a quelle condotte che introducono un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare”
IL CASO
La Corte di Appello, confermando la sentenza emessa dal giudice di prime cure, ha respinto il ricorso presentato dall’imputato, confermando la condanna alla pena (sospesa) di mesi 9 di reclusione per il reato di cui all'art. 589 c.p. Nel caso di specie, la responsabilità dell’imputato sarebbe derivata dall’inosservanza delle norme contenute all’interno del d.Lgs. 626/1994 (T.U. in materia di sicurezza sul lavoro) in quanto, nella sua qualità di datore di lavoro, avrebbe omesso colposamente di adottare misure adeguate alla protezione dei lavoratori, oltre ad aver elaborato un documento di valutazione del rischio generico e carente e aver omesso di realizzare adeguata attività di formazione. Da tali omissioni, quindi, sarebbe derivato il decesso di un uomo che, mentre si trovava all’interno di un cantiere posizionato lungo l'autostrada, era sceso dal posto del conducente del furgone, posizionato nella corsia di emergenza, per poi essere investito da un camion.
L’imputato ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione, articolando tre distinti motivi di impugnazione. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato ha opposto la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e il vizio conseguenziale di motivazione della sentenza rispetto all’accertamento del nesso causale. In particolare, al giudice d’appello è stata contestata la mancata realizzazione del giudizio contro-fattuale e l’assenza di valutazione delle peculiarità del caso concreto. La morte della vittima, infatti, sarebbe stata causata dalla sola manovra del conducente del camion, da considerarsi alla stregua di una causa sopravvenuta idonea, da sola, a determinare l’evento letale.
Il secondo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione dell’articolo 4 del d.Lgs. n. 626 del 1994, recante la disciplina degli obblighi del datore di lavoro, e il vizio di motivazione della sentenza impugnata dato che l’imputato, contrariamente a quando stabilito dalla Corte d’appello, avrebbe dato esecuzione alle indicazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi e all’interno del piano operativo, redatti in modo conforme alle prescrizioni contenute all’interno del manuale di sicurezza per la realizzazione dei cantieri redatto da Autostrade s.p.a.
Con il terzo motivo di ricorso, infine, l’imputato ha contestato la violazione dell’art. 7, d.Lgs. n. 626 del 1994 e, pertanto, il vizio di motivazione del provvedimento, rilevando che la Corte d’appello non avrebbe inquadrato il sinistro nell'ambito di quelli derivanti dalla concretizzazione del rischio interferenziale tra committente ed appaltatore.
LA QUESTIONE
La presente pronuncia si segnala in quanto affronta una serie di problematiche che rilevano sotto il profilo dell’accertamento della responsabilità omissiva colposa del datore di lavoro, in relazione all’inosservanza degli obblighi imposti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che, all’epoca dei fatti, trovava fondamento all’interno del d.lgs. n. 626/1994, in seguito abrogato e sostituito dal d.lgs. n.81/2008.
La questione, nel caso di specie, risulta strutturata su due profili distinti.
Il primo riguarda la verifica dell’adeguatezza delle misure di protezione concretamente predisposte dall’impresa al fine di scongiurare il rischio di verificazione di eventi lesivi nei confronti di lavoratori, in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 4 del d.Lgs. 626 del 1994.
Il secondo profilo, invece, attiene all’accertamento della responsabilità colposa dell’imputato e al ruolo assunto dai princìpi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo nella ricostruzione del nesso causale. In particolare, i giudici di legittimità si sono interrogati sulla possibilità di qualificare la manovra del conducente del camion alla stregua di una causa esclusiva e anomala, capace pertanto di escludere il nesso causale tra l’omissione del datore di lavoro e l’evento morte.
L’ultimo motivo di doglianza, invece, riguarda il cosiddetto rischio interferenziale, che innesta un’ulteriore questione comunque assorbita dalla verificazione della rilevanza eziologica della condotta omissiva del datore di lavoro. In particolare, la questione sottoposta ai giudici di legittimità attiene alla dosimetria della responsabilità tra appaltatore e committente, alla luce della ripartizione degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, normativamente riconducibili alla disciplina dell’articolo 7 del d.Lgs. n. 626/1994. Pertanto, è rimesso ai giudici di legittimità l’accertamento della rilevanza della condotta del committente rispetto alla verificazione dell’evento delittuoso.
LA SOLUZIONE
In via pregiudiziale, la Corte di Cassazione ha evidenziato le modalità con cui deve essere valutato il difetto di motivazione della sentenza d’appello. Ribadendo un principio di diritto già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione sulla congruità della motivazione del provvedimento d’appello non può prescindere dall’analisi contestuale e coordinata di tale provvedimento con la motivazione della sentenza del giudice di prime cure. Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, dunque, i due provvedimenti devono considerarsi come parte di un unico complessivo corpo argomentativo.
Sulla scorta di tale assunto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le due sentenze, nonostante alcune discrasie in merito all’accertamento della dinamica del fatto e all’interpretazione del documento di valutazione del rischio, risultano coerenti ed omogenee nell’accertamento della responsabilità colposa dell’imputato. In entrambi i provvedimenti, infatti, emerge che il datore di lavoro non ha adeguatamente fronteggiato il rischio da investimento dei propri dipendenti nel corso delle operazioni di apposizione della segnaletica stradale.
Rispetto all’accertamento del nesso causale, la Corte di Cassazione ha preliminarmente ribadito i princìpi generali in materia di accertamento della responsabilità omissiva colposa. In particolare, ha evidenziato che, in materia di omicidio colposo, l’elemento soggettivo deve essere valutato con riferimento non solo alla prevedibilità dell’evento dannoso ma anche all’evitabilità del medesimo, avuto riguardo dell’adozione di regole cautelari idonee a scongiurare il pericolo di concretizzazione del rischio in evento lesivo.
La verifica dell’adeguatezza delle regole cautelari adottate dall’impresa corrisponde, dunque, alla realizzazione del giudizio controfattuale ipotetico che, nei reati omissivi, si sostanzia nel procedimento di addizione mentale del comportamento alternativo lecito. Pertanto, deve ritenersi escluso il nesso causale se, a seguito di una valutazione effettuata ex ante, l’evento non avrebbe potuto essere evitato da parte dell’imputato, anche tenendo il comportamento dovuto. Può considerarsi, pertanto, fattore interruttivo del nesso causale quella condotta idonea ad introdurre un elemento di rischio nuovo e radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare.
Sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche, i giudici di legittimità hanno stabilito che, nel caso concreto, la manovra del conducente del veicolo non ha costituito affatto un pericolo nuovo o esorbitante rispetto a quelli collegati, fisiologicamente, al tipo di lavoro in atto. Il datore di lavoro, dunque, era tenuto a valutare e prevenire questo rischio specifico, dato che il fatto dell’investimento costituisce la concretizzazione di uno dei rischi collegati alle operazioni cantieristiche realizzate su strada. In particolare, condividendo l’impostazione del giudice di prime cure, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la presenza di un ulteriore operaio o di uno sbandieratore nella squadra degli operatori avrebbe certamente evitato la verificazione dell’evento lesivo segnalando la presenza di operai al conducente dell’autocarro.
Rispetto all'ultima doglianza, infine, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'appaltatore resta obbligato ad adottare tutte le precauzioni necessarie a tutelare i suoi lavoratori, non rilevando, in tal senso, la condotta colposa del committente.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato l’imputato alla rifusione delle spese di lite.
Segnalazione a cura di Sergio Mancusi
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