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Diritto Penale

CAUSALITÀ - ESPOSIZIONE AMIANTO - Cass. Pen., IV Sez., sentenza 15 Aprile 2020 n. 12151

IL CASO Gli imputati erano stati condannati per il delitto di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. in quanto ritenuti responsabili di aver, cooperando tra loro, con imprudenza, imperizia e negligenza, consistita nel violare la normativa di prevenzione e sicurezza sul luogo di lavoro omettendo misure precauzionali atte a impedire la diffusione ambientale e l’inalazione di polveri di amianto, conseguenti all’utilizzo di attrezzi quali svitatori o trapani, cagionato la morte di un’operaia addetta allo smontaggio e montaggio di arredi nei vagoni ferroviari. Gli imputati proponevano ricorso per ragioni di natura sia processuali che sostanziali. Omettendo in tale sede l’analisi delle questioni processuali, ci si concentrerà solo sulle questioni sostanziali. I ricorrenti lamentavano, in primo luogo, un vizio di motivazione in relazione al nesso di causalità, non essendo stato correttamente utilizzato il criterio di causalità individuale, al quale era stato preferito il più generico criterio di causalità probabilistica, e non essendo stata adeguatamente individuata una legge di copertura, e, in secondo luogo, la erronea individuazione della legge penale applicabile sia per non essere stato considerato il criterio di successione della legge penale nel tempo, che avrebbe condotto alla applicazione della legge più favorevole, sia per non essere stato operato il corretto bilanciamento tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti riconducibili, queste ultime, alla condotta attiva degli imputati consistita nel fornire ai lavoratori adeguati presidi di tutela, quali ad esempio mascherine filtranti, che avrebbe dovuto escludere l’alto grado di colpa loro attribuito.

LA QUESTIONE

La Corte di cassazione nella sentenza in esame analizza il nesso di causalità tra la condotta omissiva colposa dei responsabili di una ditta di manutenzione di vagoni ferroviari e l’evento morte di una dipendente seguìto ad una patologia polmonare grave derivante dalla costante e prolungata esposizione a polveri di amianto, concentrandosi sul principio di esclusione dei fattori causali alternativi e successivamente ha analizzato il bilanciamento ex art. 69 cp tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti incidenti sul caso concreto. La giurisprudenza di legittimità in merito al nesso di causalità dopo essersi inizialmente orientata sul principio della causalità probabilistica, si è poi, con la sentenza Franzese, assestata sul principio di causalità individuale e di esclusione dei fattori causali alternativi.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. Sotto il primo profilo ha riconosciuto l’esistenza effettiva di un nesso di causalità tra il periodo di lavoro prestato dalla dipendente presso l’azienda dei ricorrenti e il sopraggiungere della malattia polmonare, ritenendo altresì che il criterio di causalità utilizzato dal giudice del merito non era da considerarsi meramente probabilistico bensì individuale e basato su leggi di copertura scientifica. Nello specifico, infatti, erano stati esclusi del tutto eventuali fattori alternativi posto che la dipendente aveva lavorato per tutta la durata della propria vita professionale solo alle dipendenze dell’azienda dei ricorrenti e sempre nella stessa sede, che non era fumatrice e che il tipo di malattia insorta era compatibile con l’esposizione prolungata a particelle di amianto, la cui presenza era stata confermata sia dal perito che dai consulenti di parte. In secondo luogo, la Corte ha affermato il rispetto del principio di successione di leggi penali del tempo, avendo il giudice del merito operato il calcolo della pena sulla base della normativa vigente al momento della condotta, più favorevole rispetto a quella sopravvenuta e che il motivo di doglianza derivava da una errata lettura della motivazione della sentenza. In ultima analisi la Corte ha affermato la corretta applicazione del bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti, ex art. 69 cod. pen., con un giudizio di prevalenza di queste ultime non a causa di una omessa analisi delle prime, bensì in considerazione del fatto che le gravi inadempienze dei titolari dell’azienda e la scarsa attenzione rivolta alla tutela dei lavoratori erano state costanti e si erano protratte nel tempo, tanto da aver determinato, già negli anni ’80 e, ancora, negli anni 2000, a carico dei ricorrenti numerose condanne che, pur relative ad illeciti depenalizzati risultavano comunque valide per dimostrare la costante e reiterata violazione della normativa della sicurezza sul lavoro da parte degli stessi.

Segnalazione a cura di Davide VAIRA


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