MASSIMA
“La reazione può dirsi proporzionata, nonostante l'asimmetria dei mezzi a disposizione, sempre che il pericolo di offesa all'incolumità propria o di terzi sia attuale e tale da rendere inevitabile l'uso dell'arma come mezzo di difesa, mentre la reazione a difesa dei beni è legittima quando l'offesa è in atto (non vi è desistenza) e vi sia il pericolo, ossia la probabilità ovvero la rilevante possibilità, di aggressione all'incolumità fisica dell'aggredito o di altri.”
IL CASO
Con sentenza del 2017 emessa dal Tribunale di Modena, confermata in appello, l’imputato del processo, chiamato a rispondere del reato di omicidio nella forma tentata, perpetrato nei confronti di una persona con diversi colpi di arma da fuoco, è stato condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la provocazione, alla pena di 3 anni 1 mese e 10 giorni di reclusione; con le pene accessorie di legge e condanna, altresì, al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.
I fatti all'origine della vicenda possono essere ricostruiti nel seguente modo. Un cittadino montenegrino, agendo in concorso con un complice, poco dopo la mezzanotte, si introduceva all’interno di un negozio di abbigliamento di proprietà dell’imputato dopo aver aperto un varco nella saracinesca. L’imputato, che si trovava nella sua abitazione, ubicata al primo piano del medesimo stabile, veniva allertato dallo scatto degli allarmi e munito di arma da fuoco legittimamente detenuta, iniziava a sparare esplodendo i primi colpi in aria, poi all’indirizzo dell’autovettura dei ladri ed infine all’indirizzo del soggetto che ne era uscito, provocandone il decesso.
I giudici di merito ritenevano priva di fondamento la tesi secondo cui doveva ravvisarsi nella fattispecie la legittima difesa così come configurata a seguito della L. n. 59 del 2006 atteso che era pacifico che l’imputato, al momento dell’ intrusione, si fosse trovato nella propria abitazione non raggiungibile dal locale commerciale sottostante e che, pertanto, non era ipotizzabile nessun pericolo per l'incolumità propria o della moglie .
Non sussistevano neppure i requisiti della legittima difesa di cui all'art. 52, comma 1 per l'assoluta assenza di necessità per l'imputato di agire come aveva fatto non essendo revocabile in dubbio, per i giudici di merito, che egli avesse la possibilità di determinarsi diversamente .
Non poteva altresì invocarsi l’autotutela legittima, né reale né putativa, dal momento che l’imputato si trovava in una situazione di pericolo evitabile con altre modalità.
Avverso la sentenza di falsinea, l’imputato ricorreva per Cassazione chiedendone l’annullamento. Fra i motivi di doglianza, si censuravano la violazione di legge in relazione all’art. 52 c.p. con riferimento al mancato riconoscimento della legittima difesa, reale o putativa e in relazione all’art. 55 c.p. con riferimento all’esclusione della difesa eccedente.
A dire dell’imputato, la sentenza impugnata avrebbe omesso di scindere la complessa dinamica degli accadimenti così escludendo la derivazione logico-causale della condotta omicida dal comportamento della vittima.
Con l’ulteriore motivo di ricorso, il ricorrente invocata l’applicazione della novella legislativa , osservando che la L. 26 aprile 2019, n.36 fosse finalizzata a scriminare proprio il comportamento di chi agisca reagendo ad un’aggressione al patrimonio personale nel proprio domicilio o in un luogo equipollente quale l’esercizio commerciale di proprietà.
LA QUESTIONE
La Suprema Corte esamina la questione della rifluenza sul caso in esame delle innovazioni normative in tema di difesa domiciliare.
Quanto al primo motivo di ricorso, La Corte ha proteso per il respingimento dello stesso posto che anche una scissione dell’azione complessiva dell’imputato non avrebbe portato ad intendere l’esplosione del colpo fatale come reazione posta in essere a diretta conseguenza del comportamento della vittima che si trovava a debita distanza dall’imputato stesso.
Con riferimento al secondo motivo di doglianza, la Corte ha precisato come la scriminante della c.d. difesa domiciliare sia stata interessata dapprima dall’intervento della L. 13 febbraio 2006, n. 59 – giustificando le reazioni difensive poste in essere contro chi commetta fatti di violazione di domicilio, situazione a cui è stata parificata la commissione di fatti avvenuti «all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale».
In seguito, la legge n. 36 del 2019, con l’intenzione di rendere sempre e indistintamente legittima la difesa all’intrusione nel proprio domicilio ha modificato il secondo comma dell’art. 52 cod. pen., inserendovi l’avverbio “sempre” . L’introduzione da parte del legislatore del predetto avverbio costituisce una presunzione di proporzionalità tra reazione e aggressione mediante la quale non può certamente dirsi superato l’impianto normativo originale nella parte in cui prevede, tra gli altri requisiti, la presenza dell’agente nel domicilio violato e la non altrimenti neutralizzabilità della condotta della vittima. Sicché l’aggiunta dell’avverbio “sempre” risulta pleonastica, in quanto l’operatività della presunzione, già posta dalla norma, rimane subordinata all’accertamento degli altri elementi costitutivi della fattispecie scriminante, che non consente una indiscriminata reazione nei confronti dell’autore dell’illecita intrusione o dell’illecito intrattenimento, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico o nei luoghi ad esso assimilati, alla propria o altrui incolumità o quanto meno un pericolo concreto di aggressione.
Da ciò se ne deduce che il legislatore del 2019 non ha voluto rivedere l’ontologia di una circostanza scriminante atteso che non si pone l’obiettivo di sostituire la legge del 2006 perché, al pari della prima, riguarda esclusivamente le reazioni difensive all’offesa ingiusta arrecata all’interno del domicilio e dei luoghi ad esso assimilati: dunque trattasi di difesa “nel domicilio” e non, di difesa “del domicilio” tout court.
LA SOLUZIONE
Gli Ermellini ritengono che sia stata correttamente esclusa la causa di giustificazione della legittima difesa, sia reale che putativa, e che tale conclusione non muti a seguito delle modifiche apportate all'art. 52 c.p. dalla legge n. 36/2019.
Nonostante la riforma, la menzionata scriminante continua a postulare di tre elementi: il pericolo attuale di un'offesa ingiusta a un proprio o altrui diritto, la necessita di reagire a scopo difensivo e la proporzione tra difesa e offesa.
Nel caso di specie, secondo la Corte, non viene in rilievo la nuova previsione secondo cui agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o altri mezzi di coazione fisica da parte di una o più persone. Nella fattispecie vi sarebbe stata solo la mera intrusione del ladro nel domicilio dell'imputato, non accompagnata da altre circostanze rilevanti ai fini dell'operatività della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa di cui all'art. 52, comma 2, c.p., né idonee a far ritenere necessaria una difesa contro una offesa ingiusta. Non solo: nella fattispecie è da escludere anche la sussistenza della fattispecie del c.d. eccesso colposo, ex art. 55 c.p., perché stante l'accertata insussistenza dell'aggressione ingiusta e della necessità di difendersi, non si tratta di stabilire la proporzionalità della difesa rispetto alla offesa, mancando a monte il bisogno di rimuovere un pericolo attuale.
Sulla base dei citati presupposti la Corte ha dichiarato inapplicabile la scriminante della legittima difesa al caso in cui un ladro che, introducendosi in un negozio, viene colpito da un’arma da fuoco da tergo, mentre, era in procinto di fuggire infilandosi in un varco della saracinesca.
Segnalazione a cura di Marilia Bruno
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