LA MASSIMA
Alle Sezioni Unite è rimessa la questione “se il giudice di appello, investito dell'impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l'illegittimità della riduzione operata ai sensi dell'art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali e di favore per l'imputato”.
IL CASO
La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Como, in esito al giudizio abbreviato, ha condannato il reo a due mesi di arresto per il reato ex art. 699 c.p. (“Porto abusivo d'armi”), ha riqualificato il fatto nella contravvenzione di cui all'art. 4, Lg. 110/1975, tuttavia confermando la pena irrogata in primo grado.
I giudici dell'impugnazione hanno osservato che detta pena, nonostante la mancata riduzione per il giudizio abbreviato, fosse comunque più favorevole di quella ex art. 4, Lg. cit., che prevede un minimo edittale pari a sei mesi di arresto. Procedevano, quindi, a confermarla nel quantum, giusta la lettera dell'art. 597 c.p.p.
Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo il vizio di violazione di legge: i giudici di secondo grado avrebbero, infatti, applicato una “pena illegale” perché non hanno tenuto conto, dopo la riqualificazione, della diminuzione per il rito abbreviato (pari, per le contravvenzioni, alla metà della pena irrogata).
LA QUESTIONE
La Suprema Corte, riconoscendo la fondatezza della doglianza, ha passato in rassegna gli orientamenti di legittimità aventi ad oggetto i rapporti tra divieto di reformatio in peius (art. 597, IV co., c.p.p.) e conseguenti riduzioni di pena, in caso di accoglimento dell'appello dell'imputato in punto di reato concorrente o di circostanze aggravanti e/o attenuanti.
Secondo un primo filone interpretativo, il meccanismo “riduttivo” esplica i suoi effetti tipici a condizione che la pena irrogata in primo grado sia stata determinata in modo legale, cioè conformemente alla normativa prevista per il caso concreto. Inoltre, la mancata impugnazione del P.M. per ricondurre la pena alla misura legale se impedisce, in virtù del citato divieto, che essa sia oggetto di correzioni officiose, tuttavia non giustifica la “perpetuazione” di errori “in diritto” (in questo senso cfr., da ultimo, Cass., sez. V, 17.10.2017, n. 51615); ragion per cui il giudice potrebbe sempre intervenire con emendamenti in melius. A parere di un altro filone, invece, ciò confliggerebbe con il granitico orientamento secondo il quale il giudice, in mancanza d'impugnazione da parte della Procura, non può mai modificare la sentenza che ha irrogato la pena, nemmeno se comporta la somministrazione di sanzioni più lievi per il reo (cfr., in tempi recenti, Cass., sez. V, 9.05.2019, n. 44088).
In generale va detto che sul tema della pena illegale, sub specie sfavorevole al condannato, la Suprema Corte ha mostrato grande sensibilità. Sono infatti numerose le pronunce – anche a Sezioni Unite – dove si evidenziano soluzioni per contrastarne l'uso e per rafforzare, di rimando, il favor libertatis, spesso esposto alle ingiuste violazioni di una pena illegale ab origine o divenuta tale in un secondo momento (cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 26.02.2015, n. 37107).
Di contro, qualora l'illegalità della pena ridondi a vantaggio del condannato, la posizione della giurisprudenza è ferma nel ritenere che non possa essere giammai corretta, proprio a supporto di quel favor (rei e) libertatis prima ricordato e onde evitare, altresì, di ridurre il giudizio penale a logiche rigidamente ed esclusivamente matematiche.
Tutto ciò premesso, va allora ricordato che la diminuente per il rito abbreviato è una “circostanza” tutt'affatto particolare. Ha indubbie ricadute di tipo sostanziale sulla pena (si ricordi, a tal proposito, la sentenza di Corte Edu, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia), ma conserva natura processuale, con caratteristiche che la distinguono dalle altre circostanze in senso proprio.
Essa, infatti, non attiene alla valutazione del fatto criminoso e/o alla personalità dell'imputato, né concorre a determinarne in termini di disvalore la quantità e gravità criminosa. Al contrario, consiste in un abbattimento fisso e predeterminato, caratterizzato da automatismo e senza alcuna discrezionalità valutativa da parte del giudice. Inoltre, è applicata dopo la delibazione delle circostanze del reato e della continuazione; si sottrae al giudizio di comparazione ma è strettamente connessa ad effetti di rilievo sul piano sostanziale, risolvendosi comunque in un trattamento penale di favore.
LA SOLUZIONE
L'applicazione della diminuente in oggetto costituisce, dunque, un peculiare posterius rispetto ad altre operazioni – non rigidamente matematiche, come visto – che concorrono alla definizione del trattamento sanzionatorio.
Proprio in virtù di tali caratteristiche, la questione sottoposta al vaglio della Prima sezione della Corte di cassazione va rimessa alle Sezioni Unite, nei termini di cui alla massima in apertura.
Segnalazione a cura di Simona Metrangolo
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