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Diritto Penale

Cass. Pen., Sez II, 7 settembre 2021, n. 33097 AGGRAVANTE METODO MAFIOSO - PARTECIPAZIONE


LA MASSIMA

Sussiste la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416 bis.1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad un'associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune.


IL CASO

Avverso la sentenza di condanna per il delitto di tentata estorsione viene proposto ricorso per Cassazione per aver la Corte d’appello ritenuta sussistente l'aggravante del metodo mafioso, sulla base della mera evocazione, da parte dell'imputato, del clan dei Casamonica, in un territorio connotato dal predominio di tale sodalizio, senza che, a detta del ricorrente, ne fosse dimostrato il coinvolgimento all'interno dell’organizzazione criminale.


LA QUESTIONE

La Corte di cassazione affronta una questione già sviluppata in precedenti pronunce ovvero se possa dirsi integrata l'aggravante di cui all'art. 416 bis. 1 c.p., sotto il profilo del metodo mafioso, sulla base della mera evocazione, da parte dell'imputato, del nome di un personaggio di spicco di un’associazione mafiosa o se al contrario debbano sussistere ulteriori evidenze oggettive quali la coartazione psicologica sulla persona avente il carattere proprio dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale.


LA SOLUZIONE

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, secondo cui il Giudice del merito avrebbe ritenuto sussistente l'aggravante del metodo mafioso di cui all'art. 416 bis c.p. sulla base della mera evocazione del nome di un Casamonica, la Corte ha rimarcato che tale nome è notoriamente utilizzato proprio per indicare un personaggio di spicco della famiglia e che lo stesso imputato ne aveva fatto riferimento, in veste di consigliere amico, per dissuadere la persona offesa dal resistere alle pretese dei clan, rammentandone la caratura criminale.

Il linguaggio utilizzato, emerso dalle conversazioni, attingeva al repertorio tradizionalmente ritenuto mafioso, tanto da far emergere la necessità di non intaccare il “predominio suo e dei suoi familiari nella zona; predominio che sarebbe stato messo in dubbio, se qualcuno si fosse rifiutato di sottostare alle sue pretese”.

Del resto, le stesse persone offese avevano percepito il pericolo della situazione ed erano state "indotte a temere di trovarsi a fronteggiare l'azione anche violenta di più soggetti, facenti parte di una più ampia consorteria".

La Corte, richiamando la sentenza n. 14867 del 2021, ribadisce così che ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'art. 416 bis.1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad un'associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune.

Inoltre, il ricorrente aveva posto in essere quanto necessario e sufficiente per ottenere l'ingiusto profitto della somma richiesta, così dando un contributo essenziale alla commissione del reato, tale da escludere l'attenuante della minima partecipazione.

Aderendo alla sentenza n. 49364 del 2018, la Corte ha ribadito che in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminoso.


Segnalazione a cura di Benedetta Mauro

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