LA MASSIMA
"Il parametro valutativo che accomuna tutte le ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dalla misura del divario originario che si crea tra la condotta, manifestazione di determinate scelte imprenditoriali, e la garanzia dei creditori; tale operazione deve essere sviluppata ponendosi nell’ottica del soggetto agente, di cui va considerata la consapevolezza, anche in relazioni alle condizioni economico-finanziarie dell’impresa e, quindi, la conseguente capacità predittiva circa l’incidenza delle sue scelte sulla tenuta del patrimonio aziendale in funzione di garanzia".
IL CASO
La Corte di Appello, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha affermato la penale responsabilità degli imputati per i delitti di bancarotta fraudolenta per dissipazione e bancarotta per distrazione, ai sensi degli artt. 223, comma 1, 216, comma 1 n.1, 219 L.F., in riferimento agli artt. 4, comma 1, d.l. 347/2005 e 95, comma 1, d. lgs. 270 del 1999, ai medesimi ascritti nelle rispettive qualità di vertici apicali ed amministratori di un ampio gruppo aziendale, già oggetto di dichiarazione di stato di insolvenza. Tutte le predette condotte erano state considerate aggravate ai sensi dell’art. 219 L.F., tanto in riferimento alla pluralità dei fatti di bancarotta, quanto per aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità, anche al relativo comparto economico nazionale.
Avverso la sentenza di secondo grado, con distinti ricorsi, hanno proposto gravame per Cassazione tutti gli imputati, eccependo la violazione di legge ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in relazione ai diversi capi di imputazione, per aver questi erroneamente ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi del delitto di bancarotta per dissipazione. In particolare, con riferimento alla ricostruzione della business judgement rule – canone ermeneutico che preclude ai giudici di esprimere valutazioni sulla diligenza degli amministratori, i ricorrenti hanno eccepito che i giudizi ex ante formulati dal Tribunale prima, e dalla Corte d’Appello poi, siano stati influenzati da inammissibili valutazioni a posteriori, concretatesi in un sindacato di opportunità aziendale, precluso in base alla stessa regola convenzionale di giudizio.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione, con l’ampia pronuncia in esame, è chiamata ad occuparsi, inter alia, della rilevanza, ai fini della valutazione di sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione, della business judgement rule, elaborata dal diritto statunitense in tema di responsabilità degli amministratori di capitali. Esperita una preliminare e doverosa disamina dell’istituto, il l’iter risolutivo della Corte prende le mosse dalla rilevanza della stessa regola di giudizio in ambito penalistico e, segnatamente, sull’individuazione dei connotati e dei profili distintivi tra bancarotta fraudolenta per dissipazione e bancarotta fraudolenta per distrazione, come pure tra bancarotta fraudolenta per dissipazione e bancarotta semplice per operazioni manifestamente imprudenti.
LA SOLUZIONE
Quanto al delitto di bancarotta patrimoniale dissipativa, la Cassazione osserva come il ricorso alla business judgement rule rappresenti un corollario non necessario ai fini della configurabilità della fattispecie. Invero, in detta ipotesi criminosa, non rileva affatto una valutazione delle scelte imprenditoriali, certamente estranea, nel caso di specie, così come in linea generale, al sindacato del giudice penale. Ciò non solo per le difficoltà ricostruttive che dette operazioni possono comportare, ma, soprattutto, perché una tale valutazione esulta largamente dalla struttura normativa tipica della fattispecie stessa. Un assunto di tal fatta è sorretto, precisa la Corte, dalla premessa secondo la quale la dissipazione, al pari della distrazione, non richiede la dimostrazione di un nesso di causalità con il dissesto, ovvero con il fallimento dell’impresa.
E tuttavia, proprio la natura del reato di bancarotta dissipativa rende, in concreto, nevralgico l’accertamento inerente la scelta imprenditoriale, in un’ottica, tuttavia, assolutamente limitata. Invero, chiarisce il Collegio, il giudice di merito dovrà considerare, caso per caso, e tenendo ben a mente le singole situazioni aziendali, se la condotta vagliata si fondi o meno su una ponderazione di tutte le circostanze e le variabili specificatamente determinanti. In altri termini, la valutazione ex ante, richiede di verificare se il soggetto agente abbia ponderato tutte le possibili conseguenze che l’opzione adottata, in uno specifico contesto economico ed imprenditoriale, avrebbe potuto determinare. Nella medesima prospettiva, oggetto della verifica in parola sarà altresì l’accertare se fosse, alle predette condizioni, prevedibile che la soluzione adottata potesse effettivamente mettere a repentaglio la conservazione della garanzia patrimoniale dell’impresa poi fallita.
Volgendo, dunque, al delitto di bancarotta per distrazione, che si concreta in un distacco dal patrimonio dell’imprenditore di beni destinati alla garanzia dei creditori, la Suprema Corte rammenta come alla fattispecie in parola si applichino i principi generali cristallizzati dalle Sezioni Unite, secondo le quali, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli delle ragioni dei creditori assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati posti in essere, quando ne abbiano messo in pericolo la soddisfazione.
Pertanto, ferma restando l’identità tra l’evento storico naturalistico della diminuzione patrimoniale, eziologicamente connessa alla condotta, e l’evento normativo rappresentato dalla lesione degli interessi della massa dei creditori, assume specifico rilievo non già il distacco di beni dalla struttura economica dell’impresa, bensì il loro impiego in maniera eccentrica rispetto alla funzione di garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori (quand’anche potenziali) per effetto di consapevoli scelte strategico - imprenditoriali.
Ne discende che, in quest’ultimo caso, al centro della valutazione del giudice deve collocarsi non solo e soltanto il bene – come nella bancarotta per distrazione – ma, soprattutto, la scelta dell’imprenditore, sotto il profilo della ponderata prospettazione di tutte le possibili conseguenze e ricadute, sebbene sempre nell’ottica della garanzia patrimoniale.
In definitiva, a mente della Corte di Cassazione, ciò che connota la condotta dissipativa è una radicale incongruità dell’opzione imprenditoriale, che non può essere apprezzata se non in relazione alle dimensioni e alla complessità dell’impresa, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti al momento in cui detta opzione è stata adottata. Ciò consente pure di chiarire come oggetto di rimprovero – in riferimento alla bancarotta patrimoniale per dissipazione – non siano le scelte imprenditoriali dannose ex se (queste ultime eventualmente rilevanti, in determinati casi, ai sensi dell’art. 217 L.F.), bensì quelle che si risolvono in un’ingiustificata e volontaria sottrazione dei beni dell’impresa alla loro naturale funzione di garanzia delle passività della medesima.
Segnalazione a cura di Nicola Pastoressa
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