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Diritto Penale

BANCAROTTA FRAUDOLENTA - TRUFFA - Cass. Sez. V 12 maggio 2021, n. 18675


LA MASSIMA

1. “In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori (o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto), consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno alla L.Fall., art. 216, comma 1, n. 2, - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. Si parlerà, dunque, nel primo caso, di bancarotta fraudolenta documentale specifica, sorretta dal dolo specifico; nel secondo, di bancarotta fraudolenta documentale generica, sorretta dal dolo generico.”

2. “Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri.”


IL CASO

In sede di appello era stata confermata la condanna dell’imputato, nella qualità di amministratore di due società dichiarate fallite, in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, mentre lo stesso era stato assolto dal delitto di truffa aggravata continuata.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla mancata considerazione dei motivi di appello riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. Ha proposto altresì ricorso la parte civile con riferimento alla ritenuta inconfigurabilità del delitto di truffa a suo danno.


LA QUESTIONE

La Suprema Corte si è soffermata sull’accertamento della sussistenza, nel caso di specie, dell’elemento oggettivo e soggettivo dei reati di bancarotta fraudolenta contestati. La sentenza ha evidenziato che l’art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall., che sanziona il reato di bancarotta fraudolenta documentale, stigmatizza condotte diverse connotate da un diverso elemento soggettivo: dolo specifico e dolo generico. La stessa disposizione, al comma 1, n. 1, sanziona inoltre il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Con riferimento al ricorso della parte civile, la Corte di Cassazione ha statuito circa il rilievo attribuibile alla mancanza di diligenza da parte della persona offesa ai fini della configurabilità del delitto di truffa.


LA SOLUZIONE

Il ricorrente ha chiesto una rivalutazione delle risultanze processuali e dunque del compendio probatorio. Si tratta di un’attività preclusa alla Corte di Cassazione, che ha ritenuto la decisione del giudice di appello fondata su di un percorso argomentativo esaustivo e logico, che ha tenuto conto dei rilievi difensivi articolati con i motivi di appello. Pertanto, il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile.

La sentenza in commento ha comunque chiarito la distinzione tra la bancarotta fraudolenta documentale specifica e la bancarotta fraudolenta documentale generica. In particolare, la Corte ha affermato, conformemente a precedenti pronunzie di legittimità, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, co. 1, n. 2, L. Fall., la condotta di occultamento delle scritture contabili costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture. Invero, nella prima ipotesi si richiede il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e la condotta consiste nella materiale sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, che può configurarsi anche sotto forma della loro omessa tenuta. La diversa condotta della fraudolenta tenuta delle scritture contabili, invece, deve essere sorretta dal dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti (da ultimo, Cass., Sez. V, n. 33114/2020).

Nel caso di specie, è stato ritenuto integrato sia l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica, poiché è stata accertata l’alterazione del bilancio e l’incompleta e disordinata tenuta delle scritture contabili, sia l’elemento soggettivo e dunque il dolo generico, rappresentato dalla mera consapevolezza che tale confusa tenuta della contabilità possa rendere impossibile ricostruire le vicende patrimoniali.

Con riferimento alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, altrettanto provato è stato ritenuto l’elemento oggettivo mediante l’accertamento dell’omessa tenuta delle scritture contabili, nonché la sussistenza del dolo specifico, poiché il reo ha operato scientemente una confusione tra le due società fallite, impedendo la ricostruzione dei movimenti patrimoniali allo scopo di danneggiare le ragioni dei creditori.

La Suprema Corte ha inoltre condiviso la conferma della condanna per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, evidenziando come la Corte di appello abbia puntualmente dimostrato la sussistenza della prova della costante attività di distrazione dei beni di entrambe le società fallite realizzata dall’amministratore.

Con riferimento al delitto di truffa aggravata continuata ex artt. 81, co. 2, 640 e 61, n. 7, c.p., è stato invece ritenuto fondato il ricorso proposto dalla parte civile avverso l’assoluzione dell’imputato. La Corte di Cassazione ha infatti affermato l’erroneità sul punto della sentenza impugnata poiché il giudice di secondo grado aveva escluso la responsabilità dell’imputato in ordine a tale reato addebitando alla persona offesa una mancanza di diligenza. La contestazione del delitto di truffa riguardava i finanziamenti che l’imputato aveva ottenuto mediante artifizi e raggiri, convincendo la vittima a investire risorse in attività commerciali, appropriandosi poi del denaro. A tal proposito, la Suprema Corte ha affermato, in ossequio al maggioritario orientamento giurisprudenziale, che, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, la mancanza di diligenza da parte della persona offesa non rileva, poiché non è idonea ad escludere l’idoneità del mezzo, “risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri”. Siffatto principio è stato più volte ribadito anche in tema di truffa contrattuale.

Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio, limitatamente agli effetti civili nei confronti della parte civile.


Segnalazione a cura di Francesca Zinnarello


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