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Diritto Penale

BANCAROTTA FRAUDOLENTA - Cass., sez. V, sent. 20 febbraio 2020, n. 6781

LA MASSIMA “La “sostituzione” della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018 del Giudice delle leggi, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel “nuovo” parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale”.


IL CASO La questione in esame trae origine dal ricorso presentato dall’imputata che, all’esito del giudizio d’Appello, era stata ritenuta colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma 1, n. 2), R.D. 16 marzo 1942, n. 267. In particolare, la stessa agiva dinnanzi alla Corte di Cassazione lamentando la superficialità della valutazione operata nei precedenti gradi di giudizio, la configurabilità della fattispecie di bancarotta semplice in luogo di quella contestata e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

LA QUESTIONE Nel caso in esame, i giudici di legittimità si soffermano sulla questione della rideterminazione delle pene accessorie, senza che vi sia stata un’espressa richiesta da parte della ricorrente. Nella motivazione, si sottolinea come l’illegalità della pena possa essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche quando l’impugnazione sia dichiarata inammissibile, ad eccezione che nel caso di ricorso tardivo. In tema di bancarotta fraudolenta va rammentata, infatti, la recente decisione della Corte Costituzionale, sent. 25 settembre 2018, n. 222, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 216, ultimo comma, L. fall., per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevedeva una pena accessoria fissa pari a dieci anni, anziché una pena non fissa determinabile fino ad un massimo di dieci anni. A tale decisione è poi seguito l’intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sent. 28 febbraio 2019, n. 28910, stabilendo che il giudice dovrà commisurare l’entità della pena accessoria decidendo in base ai criteri indicati all’art. 133 c.p., anche discostandosi dall’entità della pena principale.


LA SOLUZIONE Nonostante i motivi di ricorso formulati siano stati dichiarati inammissibili, i giudici di legittimità si sono soffermati sulla legalità della pena accessoria, sulla base della disciplina risultante dai recenti interventi nomofilattici. In particolare, la Corte ha escluso la derubricazione nel reato di bancarotta semplice, avendo la ricorrente agito con dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture contabili. Circostanza questa che distingue la fattispecie concreta dall’ipotesi di bancarotta semplice, per la quale è indifferente che il soggetto abbia agito con dolo o con colpa. Di conseguenza, si è implicitamente confermata l’applicabilità delle pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 L. fall. Riconosciuta la legittimità della pena principale, tuttavia, i giudici hanno annullato la sentenza limitatamente alle pene accessorie. Sul punto, si afferma l’illegalità della pena così irrogata, in quanto determinata in base ad una norma divenuta incostituzionale. La decisione risulta coerente con i recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di proporzionalità delle pene accessorie rispetto alla condotta tenuta dal reo. Questo perché una pena fissa, ovvero equivalente alla pena principale, pone il rischio di frustrare le esigenze special-preventive che si pongono a fondamento di tali sanzioni. Tuttavia, la sentenza in commento si spinge oltre, rilevando come le pene irrogate prima del revirement della Corte Costituzionale contrastino col principio di legalità della pena, anche qualora siano contenute nei limiti edittali, poiché determinate in base ad una norma incostituzionale. Pertanto, la Cassazione riconosce la possibilità per il giudice di rideterminare d’ufficio la pena accessoria in conformità ai criteri di cui all’art. 133 c.p., in applicazione del principio secondo il quale l’illegalità della pena (anche accessoria) è rilevabile d’ufficio nel giudizio, nonostante l’inammissibilità dell’impugnazione. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata con rinvio, limitatamente alla determinazione delle pene accessorie.

Segnalazione a cura di Erik Giachello





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