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Diritto Penale

BANCAROTTA FRAUDOLENTA - APPROPRIAZIONE INDEBITA - Cass., Sez. V, 9 dicembre 2020, n. 34979

LE MASSIME

“ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicchè i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza”

“l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte”

“in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, deve necessariamente individuarsi, nell'elemento oggettivo del reato, la concreta pericolosità del contestato fatto distrattivo, ossia la potenzialità del medesimo di porre in concreto pericolo l'integrità del patrimonio dell'impresa, costituente la garanzia dei creditori, e deve, di conseguenza, accertarsi, quanto all'elemento soggettivo del reato, la consapevolezza e la volontà dell'agente di porre in essere tale condotta, pur se ne ravvisi la concreta pericolosità rispetto all'integrità del patrimonio dell'impresa”

“integra il delitto di bancarotta per dissipazione l'operazione che risulti inconciliabile con il raggiungimento dello scopo sociale e incoerente con il soddisfacimento delle esigenze dell'impresa, e sia, nel contempo, dimostrata la consapevolezza dell'agente di diminuire il patrimonio societario per scopi estranei all'oggetto sociale”

“la fattispecie di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quella di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo, per l'incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell'impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell'autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima”

“la circostanza aggravante del "danno patrimoniale di rilevante gravità" di cui all'art. 219, comma 1, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave”


“la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di appropriazione indebita posto in essere ai danni della società amministrata da parte del legale rappresentante che sia anche socio di maggioranza spetta al singolo socio titolare delle residue quote, dovendo lo stesso considerarsi non solo danneggiato dal reato, ma anche persona offesa, in quanto titolare del bene giuridico costituito dalla integrità del patrimonio sociale; se, di regola, infatti, nei reati patrimoniali commessi ai danni di una società la legittimazione a proporre querela appartiene soltanto al legale rappresentante, sarebbe irragionevole affermare il medesimo principio quando la condotta illecita sia stata posta in essere proprio da quest'ultimo”


“in tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d'ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall'art. 319 cod. pen., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all'art. 318 stesso codice, nell'ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all'esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria”

“in tema di corruzione, la nozione di "altra utilità", quale oggetto della dazione o della promessa comprend[e] qualsiasi vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente o per un terzo, ivi compresi i benefici leciti, che nondimeno assumono rilevanza penale nel caso in cui s'inseriscano in una relazione sinallagmatica di tipo finalistico-strumentale o causale rispetto all'esercizio dei poteri o della funzione ovvero al compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio [e] non va circoscritta soltanto alle utilità di natura patrimoniale, ma comprende tutti quei vantaggi sociali le cui ricadute patrimoniali siano mediate e indirette”


IL CASO

Gli imputati erano stati ritenuti responsabili a vario titolo di numerosi delitti. In particolare, il dominus di fatto della società era chiamato a rispondere per diverse fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, e, unitamente agli altri ricorrenti, di una pluralità di condotte di corruzione. Inoltre, altri imputati erano stati condannati per i delitti di appropriazione indebita aggravata e di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori ex art. 12quinquies Legge 7 agosto 1992, n. 356.

In seguito alla decisione della Corte d’Appello, gli imputati proponevano separati ricorsi.

Uno di questi lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione sotto diversi aspetti caratterizzanti il delitto di bancarotta, nonché doglianze in merito alla contestata corruzione. Inoltre, ulteriori motivi venivano proposti dai ricorrenti con riferimento alle altre fattispecie delittuose.


LE QUESTIONI

Tra le numerose questioni affrontate dalla Corte di Cassazione, quelle che suscitano maggiore interesse riguardano gli elementi necessari per la sussistenza dei delitti di bancarotta fraudolenta, di appropriazione indebita e di corruzione.

Per quanto riguarda la prima fattispecie, il ricorrente osservava che le proprie condotte furono realizzate a distanza di anni dall’ammissione della società al concordato preventivo, quando non era prevedibile che le stesse avrebbero costituito un concreto pericolo di dissesto.

A sostegno della propria doglianza, richiamava un precedente della Corte di Cassazione del 2017, sent. Palitta, nel quale si affermava che la bancarotta fraudolenta prefallimentare è un reato di pericolo concreto. Soltanto qualora la condotta sia idonea a cagionare un pericolo per il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione in concreto di prognosi postuma, sarà da considerarsi penalmente rilevante. Interpretazione che troverebbe un avallo nella giurisprudenza costituzionale, laddove l’art. 27 Cost. richiederebbe che la colpevolezza dell'autore del reato si estenda a tutti gli elementi del medesimo, essenziali ed accidentali, ivi comprese le condizioni di punibilità (C. Cost., sent. 23 marzo 1988, n. 364; C. Cost., sent. 13 dicembre 1988, n. 1085).

Con riferimento, poi, alla fattispecie di appropriazione indebita, i dubbi riguardavano la possibilità per il socio di sporgere querela per le condotte criminose poste in essere ai danni della società dal legale rappresentante. Questione sorta in seguito alla modifica operata dal d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, che aveva abrogato il terzo comma dell’art. 646 c.p., sulla procedibilità d’ufficio per il delitto in questione.

Infine, volgendo l’attenzione al delitto di corruzione contestato agli imputati, le questioni principali vertevano sulla corretta qualificazione giuridica della condotta e sull’interpretazione della nozione di “altra utilità”, quale oggetto della dazione o della promessa. In particolare, i ricorrenti escludevano la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 319 c.p., ritenendo che le proprie condotte fossero da ricondursi all’ipotesi di corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p., in ragione dello stabile asservimento del pubblico ufficiale.


LA SOLUZIONE

Partendo dal delitto di bancarotta fraudolenta, si può cogliere come il ricorrente mirasse ad un inquadramento della sentenza dichiarativa di fallimento e dello stato d’insolvenza tra gli elementi costitutivi del reato, con smentita del revirement operato dalla Corte di Cassazione del 2017, Santoro. Infatti, quest’ultima aveva aderito alla tesi prevalente in dottrina, qualificando tale sentenza quale condizione obiettiva di punibilità estrinseca.

Tuttavia, la decisione in commento mostra di non voler prendere aperta posizione sul contrasto sorto tra dottrina e giurisprudenza e richiamato dal ricorrente con la contrapposizione tra la sentenza Palitta e la sentenza Santoro. Per tale ragione, i giudici richiamano i principi già affermati dalle Sezioni Unite del 2016, sostenendo che essi restano fermi a prescindere dalla collocazione che si voglia attribuire alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Allo stesso tempo, però, la decisione sembra aderire alla concezione che opina per la riconduzione degli stessi nel novero degli elementi essenziali, nel momento in cui afferma che l’insolvenza finisce per entrare nel perimetro della rappresentazione e della volontà dell’autore della condotta. Partendo da tale constatazione, però, supera le critiche mosse dal ricorrente, osservando come non sia necessario un nesso causale tra i fatti di distrazione e il fallimento.

In particolare, la Corte richiama l’orientamento maggioritario, frutto dell’intervento delle Sezioni Unite, sent. 31 marzo 2016, n. 22474, Passarelli. Interpretazione riproposta anche da alcune pronunce delle sezioni semplici, tra le quali merita di essere ricordata la sentenza n. 38396 del 23 giugno 2017, Sgaramella, richiamata dai giudici in questa sede.

Secondo questa ricostruzione, non occorre un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa. Pertanto, tali fatti saranno rilevanti a prescindere dal momento in cui sono posti in essere, compreso il periodo in cui l’impresa non versava ancora in stato di insolvenza.

Quale conseguenza di tale impostazione, il giudice dovrà individuare la concreta pericolosità del contestato fatto distrattivo, così da ritenere integrato l’elemento oggettivo della fattispecie. Inoltre, sul versante volitivo, occorrerà accertare la colpevolezza e la volontà di porre in essere tale condotta. In tal modo, proprio la rappresentazione e volizione dell’insolvenza dell’impresa consentono di escludere ogni profilo di incostituzionalità degli art. 216 e 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

Passando alla principale critica mossa alla configurabilità del delitto di appropriazione indebita, anch’essa viene smentita. Infatti, sussistono precedenti giurisprudenziali nei quali si era riconosciuta la capacità del socio di sporgere querela per i delitti commessi dal legale rappresentante.

In particolare, si osserva come l’esclusione di tale facoltà porterebbe ad un esito paradossale, poiché comporterebbe l’impunità di tali soggetti. Infatti, se si ammettesse la contrapposta tesi, che legittima soltanto il legale rappresentante a proporre querela, quest’ultimo potrebbe commettere qualsivoglia reato, nella consapevolezza che solo lui potrebbe querelarsi.

Infine, volgendo l’attenzione al reato di corruzione, deve escludersi la configurabilità della fattispecie impropria ex art. 318 c.p. laddove ricorra uno stabile asservimento del pubblico ufficiale, ossia un’ipotesi di corruzione ambientale. Sul punto, infatti, è ormai assodato l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, che propende per la configurabilità di una corruzione propria ex art. 319 c.p. Questo perché è il carattere di sistematicità della corruzione a giustificare la più severa figura di cui all’art. 319 c.p., poiché uno stabile asservimento del pubblico ufficiale si traduce in un’offesa più grave al bene giuridico tutelato, rispetto a quanto previsto dall’art. 318 c.p.

Infine, un ulteriore aspetto scandagliato dai giudici ha riguardato la nozione di altra utilità, precisando che essa può essere corrisposta anche da un soggetto terzo. Infatti, secondo l’orientamento ormai consolidatosi, tale concetto comprende qualsiasi vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente o per un terzo, ivi compresi i benefici leciti, che nondimeno assumono rilevanza penale in ragione di un accordo finalizzato alla realizzazione di atti contrari ai doveri d’ufficio.

La risposta a tali quesiti ha consentito alla Corte di Cassazione di confermare le statuizioni del giudice d’appello, con annullamento della sentenza limitatamente alle confische disposte per il reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori.


Segnalazione a cura di Erik Giachello



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