Con la sentenza riportata in epigrafe la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in relazione ad un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, ha chiarito la portata della causa di giustificazione dello stato di necessità, con riferimento all’ipotesi in cui l’imputato sia nel contempo vittima di una condotta di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
MASSIMA: Deve escludersi l'applicazione dell'art. 54 c.p. in relazione alle situazioni di volontaria sottoposizione al pericolo e, con particolare riferimento al reato di bancarotta, la scriminante dello stato di necessità non sussiste nel caso in cui i soci amministratori effettuino pagamenti nei confronti di taluni creditori, che sappiano essere membri di un'organizzazione criminale di stampo mafioso e da cui temano ritorsioni violente per il mancato soddisfacimento delle loro pretese, qualora essi abbiano volontariamente e consapevolmente creato una situazione di pericolo per l'impresa, rivolgendosi agli stessi.
IL CASO: La Corte d’appello di Catania confermava integralmente le statuizioni di prime cure, con cui era stata affermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, commessi in qualità di amministratore di una società dichiarata fallita. Parallelamente, si concludeva il procedimento penale nell’ambito del quale il medesimo prevenuto si era costituito parte civile, lamentando di essere rimasto vittima di estorsione aggravata dal metodo mafioso, circostanza che avrebbe giustificato il procurato dissesto, ma ritenuta tuttavia inidonea dalle corti di merito a configurare la causa di non punibilità di cui all’art. 54 c.p.
LA QUESTIONE: L’imputato, soccombente nei due gradi di giudizio, proponeva ricorso per cassazione, spiegando plurimi motivi di gravame, tra i quali viene in rilievo, per quanto qui di interesse, quello incentrato sul vizio di motivazione in relazione alla scriminante dello stato di necessità di cui al citato art. 54 c.p. Stando alla prospettazione di parte ricorrente, l’incontestato dissesto sarebbe avvenuto per far fronte al pagamento di taluni creditori, appartenenti ad una organizzazione criminale di stampo mafioso, di talché sarebbe configurabile la causa di non punibilità in esame, giustificata dal pericolo di ritorsioni quale conseguenza del mancato soddisfacimento delle pretese dei medesimi.
LA SOLUZIONE:
La Suprema Corte, in accoglimento della doglianza formulata dal ricorrente, ha ribadito il principio di diritto secondo cui, con specifico riferimento al reato di bancarotta, “la scriminante dello stato di necessità non sussiste nel caso in cui i soci amministratori effettuino pagamenti nei confronti di taluni creditori, che sappiano essere membri di una organizzazione criminale di stampo mafioso e da cui temano ritorsioni violente per il mancato soddisfacimento delle loro pretese, qualora essi abbiano volontariamente e consapevolmente creato una situazione di pericolo per l'impresa, rivolgendosi agli stessi”.
Come noto, l'esimente di cui all'art. 54 c.p., ancorché configurabile quando il danno grave alla persona sia diretto contro la vita, l'integrità fisica o altri beni attinenti alla personalità (ad esempio, la libertà, il pudore, l'onore, etc…), richiede tuttavia che il pericolo non sia stato determinato per volontà o per colpa del soggetto minacciato, nonché che la necessità di contravvenire alla legge non sia altrimenti evitabile col ricorso ad altri rimedi, privi di disvalore penale.
Al riguardo, la Corte – nel delineare le differenze rispetto al delitto di usura – ha precisato che è esclusa la configurabilità della invocata causa di giustificazione in ipotesi di ricorso al credito usurario, non essendo ravvisabili né il requisito del generarsi del pericolo per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, né il requisito della sua inevitabilità con altri mezzi.
Peraltro, aderendo ad un granitico orientamento formatosi in materia, la Suprema Corte non ha mancato di ricordare che, ai fini della sussistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità determinato dall'altrui minaccia, sia “sufficiente una prospettazione verbale di conseguenze sfavorevoli, caratterizzata, rispetto al contesto in cui si inserisce, da connotati di serietà, gravità e consistenza tali da determinare un'azione imposta dall'esigenza di salvare l'autore immediato dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.
Applicando le suddette coordinate ermeneutiche al caso di specie, i giudici di vertice hanno rilevato che il ricorrente ha prospettato e documentato di essere rimasto vittima di estorsione aggravata dal metodo mafioso, reato quest’ultimo che esclude strutturalmente la volontaria sottoposizione al pericolo della persona offesa.
Invero, il delitto di estorsione si connota per una coartazione dell’altrui volontà con lo specifico fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, concretizzandosi in un attacco alla libertà psichica della vittima, che viene pertanto a trovarsi in uno stato di costrizione morale.
Conclusivamente, il giudice di legittimità ha ritenuto viziata per carenza di motivazione la decisione di secondo grado e, segnatamente, per aver omesso ogni valutazione circa gli esborsi effettuati dall’imputato nei confronti dei creditori- estorsori.
In definitiva, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi di diritto innanzi esposti, avendo particolare riguardo a chiarire se la situazione di dissesto dell’impresa sia stata determinata indipendentemente o meno dalla volontà dell’imputato.
Segnalazione a cura di Raffaella Stigliano
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