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AUTO RICICLAGGIO - ELEMENTO MATERIALE - Cass. pen. Sez. V, n. 1203 del 15 gennaio 2020

MASSIMA Il delitto di bancarotta fraudolenta prefallimentare concorre, in qualità di reato presupposto, con il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 cod. pen., quando i beni della società fallita siano reimpiegati in attività imprenditoriali in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.


IL FATTO Con sentenza n. 1203, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione si è occupata della fattispecie di autoriciclaggio posta in essere da chi, in particolare, dopo aver concorso nella bancarotta distrattiva prefallimentare, abbia polverizzato il patrimonio impiegandolo in nuove società. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Palermo confermava il sequestro preventivo del capitale sociale della X S.r.l. del valore nominale di diecimila euro, di cui risultava unico socio il ricorrente. Si configurava a suo carico il fumus dei reati di concorso quale extraneus nella bancarotta fraudolenta (documentale e per dissipazione e, comunque, per dissipazione dei beni della società fallita) e di concorso nel reato di cui all’art. 648 ter.1 c.p.. L’indagato, in concorso con altri soggetti, aveva contribuito a determinare il fallimento sella società X S.r.l., distraendo il patrimonio della stessa, attraverso la creazione di nuove società allo scopo di dividere i beni della fallita (sfruttando anche l’avviamento e gli utili pari ad almeno tre milioni di euro), continuando a svolgere la medesima attività commerciale e nelle medesime sedi), in pregiudizio dei creditori e rimettendo in tal modo in circolazione e investendo anche i proventi dei commessi delitti.

LA QUESTIONE La fattispecie di cui all’art. 648 ter.1 c.p. è stata introdotta con la finalità di colmare il vuoto determinato dalle fattispecie di riciclaggio, punendo anche l’autoriciclatore e colui che abbia concorso nel delitto presupposto. Ciò posto, le condotte del reato in questione sono innanzitutto l’impiegare, il sostituire e il trasferire il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Per nozione di attività economica o finanziaria occorre far riferimento agli artt. 2082, 2135 e 2195 c.c., ricomprendendo, dunque, tanto l’attività produttiva in senso stretto, ossia quella diretta a creare nuovi beni o servizi, quanto quella di scambio e di distrazione dei beni nel mercato del consumo, nonché ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile. In altri termini, si tratta di reimmissione delle utilità provenienti ex delicto nei canali economici legali. Ciò però, a dire della Corte, non è sufficiente per l’integrazione del reato perché la ratio di colpire le condotte deve coniugarsi necessariamente con gli ulteriori elementi caratterizzanti la fattispecie e segnatamente con la clausola modale (“ossia in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”) e con la causa di non punibilità espressa al co. 4 della citata norma. Attraverso la clausola modale, invero, è possibile circoscrivere ulteriormente il comportamento rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie, perimetrando le condotte punibili nell’ambito di quei comportamenti che, seppur non riconducibili allo schema degli artifici o dei raggiri, manifestano, comunque, la loro capacità di rendere obiettivamente difficoltosa l’individuazione dell’origine delittuosa dei proventi.

SOLUZIONE Pertanto, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza. La distrazione dei beni della società, dell’avviamento e degli utili per almeno tre milioni, la costituzione di una nuova società nella medesima città, a distanza solo di alcuni mesi e senza l’acquisto di nuovi macchinari hanno condotto i giudici della Suprema Corte a confermare la sentenza di prime cure e dunque rigettare il ricorso proposto.

Segnalazione a cura di Emanuela Condello

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