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Diritto Penale

ATTI PERSECUTORI - 612 cp - INGIURIE - Cass. Sez. V 13 gennaio 2021, n. 1172


LA MASSIMA

“Si configura la fattispecie di cui all’art. 612bis c.p. in presenza di ingiurie consistenti e ripetitive che, incidendo sulla sfera psichica e morale della persona in sinergia con le altre forme di illecito previste dall’art. 612bis c.p., sono in grado di determinare uno degli eventi previsti da detta norma. Nel caso in cui alla verificazione di uno degli eventi alternativi di cui all’art. 612bis c.p. seguano ulteriori atti ingiuriosi, questi non sono irrilevanti, in quanto – saldandosi con i precedenti – approfondiscono ed estendono l’offesa al bene giuridico protetto ed assumono rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all’ultimo atto della serie”.


IL CASO

La Corte d'appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado, con la quale l’imputato era stato condannato per atti persecutori ex art. 612bis c.p.

Nello specifico, secondo la ricostruzione dei fatti, l’imputato, dopo aver dato in prestito una somma di denaro ad una condomina dello stabile in cui egli risiedeva, assillò, minaccio, e offese per lungo tempo la stessa, fino alla restituzione della somma e le rivolse pesanti ingiurie nel corso di una riunione condominiale.

Ebbene, l’imputato, per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza deducendo due motivi.

Con il primo lamentava l’erronea applicazione degli artt. 124 e 612bis c.p., nonché un vizio di motivazione con riguardo alla tempestività della querela. In particolare, il ricorrente evidenziava che gli atti persecutori sarebbero cessati due anni prima rispetto alla querela, in corrispondenza con l'episodio di inguria peraltro penalmente irrilevante. Tale episodio, ad avviso del ricorrente, era inidoneo a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela, termine che, invece, doveva decorrere dal momento di verificazione di uno degli eventi di cui all’art. 612bis c.p.


LA QUESTIONE

Sono state sottoposte all’attenzione della Suprema Corte due questioni: una relativa al termine per presentare la querela allorquando, in seguito della verificazione di uno degli eventi alternativi di cui all’art. 612bis c.p., il soggetto agente compia ulteriori atti persecutori; un’altra relativa alla rilevanza o meno degli atti ingiuriosi ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 612bis c.p.

In sintesi, spetta alla Corte stabilire se, una volta accertata la rilevanza penale dei fatti ingiuriosi ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612bis c.p., l’ingiuria che interviene in seguito alla verificazione dell’evento sia idonea a spostare in avanti il dies a quo per presentare la querela.


LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha ritenuto di non dover accogliere il ricorso reputando infondati i motivi dedotti dall’imputato.

In primo luogo la Suprema Corte ha precisato che la verificazione di uno degli eventi di cui all’art. 612bis c.p., indispensabile per la configurabilità del reato di atti persecutori, non rende irrilevanti eventuali atti persecutori successivi, poiché tali atti, saldandosi con i precedenti, approfondiscono ed estendono l’offesa al bene giuridico protetto e assumono rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all’ultimo atto della serie. Sulla scorta di ciò, la Corte ha ritenuto non fondata la tesi difensiva, secondo cui non sarebbero rilevanti, per la tempestività della querela, gli atti persecutori posti in essere dopo la realizzazione di uno degli eventi contemplati dall’art. 612bis c.p. Tali atti, al contrario, secondo la Cassazione, assumono rilevanza penale, in quanto si pongono in linea di continuità con quelli compiuti prima della verificazione dell’evento, rafforzando l’offesa al bene giuridico protetto, e divenendo idonei a posticipare il termine per proporre la querela.

La Corte di Cassazione, dunque, ha ragionevolmente condiviso la tesi della Corte d’appello che ha considerato unitariamente gli atti posti in essere dall’imputato e ha ricollegato al fatto del maggio 2013 il termine iniziale per la manifestazione della volontà querelatoria.

Chiarita la rilevanza penale degli atti posti in essere successivamente alla verificazione dell’evento lesivo, la Suprema Corte ha ritenuto poi infondate le censure del ricorrente volte a escludere l’ingiuria dal novero degli atti persecutori.

Sul punto la Corte ha dapprima chiarito che l’ingiuria, ricompresa fino all’espunzione dal codice penale nei reati contro l’onore, attualmente rappresenta una delle più frequenti forme di molestia, soprattutto allorquando sia realizzata in luogo pubblico o dinanzi alla presenza di altre persone, in quanto idonea ad incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ciò posto, se le ingiurie si presentano quali fatti isolati, senza inserirsi in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona, l’autore delle stesse sarà sanzionabile solo civilmente; viceversa, se le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con altre forme di illecito previste dall’art. 612bis c.p., uno degli eventi previsti dalla norma, il soggetto agente risponderà del reato di atti persecutori.

Rilevata, dunque, l’idoneità degli atti ingiuriosi a integrare il reato di cui all’art. 612bis c.p. allorquando gli stessi siano consistenti, ripetitivi e cagionino, in sinergia con altri atti molesti o minacciosi, uno degli eventi di cui alla norma anzidetta, è possibile ritenere che, se un fatto ingiurioso si verifica dopo la realizzazione di uno degli eventi alternativi, tale fatto assume rilevanza penale, in quanto saldandosi con i fatti precedenti, ingiuriosi e non, intensifica l’offesa al bene protetto, e vale a spostare in avanti il termine per proporre la querela.

In riferimento, invece, al secondo motivo di ricorso, di là dalle questioni processuali, la Corte ha ritenuto che il dolo fosse desumibile inequivocabilmente dalle condotte persecutorie e dalle conseguenze da esse determinate.

Orbene, sulla scorta di quanto affermato, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha confermato la sentenza del giudice di secondo grado.


Segnalazione a cura di Maria Pascazio



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