LE MASSIME
“Costituisce condotta che integra la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono droga nel consumo al minuto, una volta che risulti accertata la coscienza e volontà del fornitore di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (Sez. 4, n. 19272 del 12.06.2020, Bellissima; Sez. 6, n. 41612 del 19.06.2013, Manta). […] Con riferimento all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando intorno a sé le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che – rispetto ad un gruppo già costituito – determini ulteriori adesioni, sia addetto a sovraintendere alla complessiva attività di gestione della formazione criminale e, in tale direzione, assuma funzioni decisionali (Sez. 2, n. 52316 del 27.09.2016, Riva; Sez. 6, n. 45168 del 29.10.2015, Cidoni)”.
“Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 513-bis cod. pen. è necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e idonei a contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente (Sez. Un., n. 13178 del 28.11.2019, dep. 2020 Guadagni)”.
IL CASO
L’indagato, destinatario di ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, confermata dal Tribunale del Riesame, proponeva ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per tre ordini di motivazioni. In primo luogo, riteneva inadeguata, non autonoma e lacunosa la motivazione sotto il profilo della gravità indiziaria quanto al contestato reato associativo, poiché l’argomentazione svolta dal Tribunale della Libertà si sarebbe meramente limitata a condividere le considerazioni svolte in precedenza dal G.I.P., senza dimostrare il ruolo dell’indagato di stabile fornitore di sostanza stupefacente del sodalizio criminale. Secondariamente, quanto ai contestati delitti di estorsione consumata e tentata, si lamentava la mancanza di riferimenti nell’ordinanza custodiale a intercettazioni da cui potesse evincersi il ruolo di mandante attribuito all’indagato. Da ultimo, relativamente all’illegittima collocazione di slot machines all’interno di esercizi commerciali ubicati nel territorio ricadente sotto il controllo dell’indagato, e volta a favorire alcuni membri di una famiglia mafiosa per sdebitarsi della cooperazione fornita per la consumazione delle estorsioni, il ricorrente contestava il mancato accertamento della effettiva condotta impositiva consistente nell’espulsione violenta di una serie di operatori dal settore per consentire l’inserimento di apparecchi facenti capo all’organizzazione criminale.
LE QUESTIONI
La sentenza affronta due distinte questioni, l’una attinente l’individuazione degli elementi costitutivi del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope e la definizione dei ruoli di promotore, organizzatore, finanziatore e ordinario partecipe dell’associazione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; l’altra relativa alla configurabilità del fatto tipico rientrante nell’alveo di cui all’art. 513-bis c.p.
Quanto alla prima questione, deve segnalarsi come la sentenza si sia soffermata sull’analisi della posizione rivestita dal soggetto che, per un limitato orizzonte temporale, abbia partecipato all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti allo scopo di trasportare, procurare ad altri e consegnare sostanze droganti di molteplici qualità, nonché al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa proponendosi quale nuovo canale di approvvigionamento di cocaina. La Corte di cassazione ha evidenziato come la norma incriminatrice distingua, sia sotto il profilo della condotta, sia in punto di trattamento sanzionatorio, il ruolo del promotore dell’associazione da quello dell’ordinario partecipe. Più specificamente, si è interrogata circa la possibilità che rivesta il ruolo di promotore il soggetto che non abbia dato origine alla consorteria, ma che – rispetto ad un gruppo già in precedenza costituito – contribuisca a ottenere maggiori adesioni, sia addetto a sovrintendere alla attività di gestione della formazione criminale e assuma le principali funzioni decisionali.
Relativamente alla seconda questione, gli ermellini hanno esaminato la problematica attinente la riconducibilità del mero accordo intercorso tra due soggetti, e avente ad oggetto l’espulsione violenta di una serie di operatori nel settore delle slot machines per consentire l’inserimento di apparecchi facenti capo all’associazione, nell’alveo del reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza. In altri termini, la Corte ha distinto i concetti di mero accordo e di attuazione e concretizzazione dello stesso mediante l’integrazione di atti di violenza o di minaccia.
LE SOLUZIONI
Il Supremo Consesso ha fornito la propria interpretazione circa i differenti ruoli prospettabili all’interno della associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il ruolo di promotore può essere rivestito non solo dall’iniziatore dell’associazione stessa che coaguli attorno a sé le prime adesioni e i consensi partecipativi, bensì anche da colui che contribuisca alla potenzialità pericolosa di un gruppo già costituito, determinando terzi ad aderire alla consorteria mediante un’attività di diffusione del c.d. programma (Sez. 2, n. 52316 del 27.09.2016, Riva). I giudici hanno, di conseguenza, escluso una incompatibilità logico-giuridica tra il ruolo apicale e il carattere susseguente dell’adesione all’associazione, precisando che sul giudice di merito grava l’onere dapprima di accertare e poi di motivare in ordine all’assunzione del ruolo di promotore-dirigente di colui che, in qualità di nuovo aderente, assuma su di sé la funzione di diffusione del programma, di adozione delle decisioni.
La Corte di legittimità, in tema di illecita concorrenza con minaccia o violenza, ha ribadito che per vedere compiutamente integrato il reato in commento deve essere accertata la sussistenza di condotte avente carattere violento o minaccioso, atte a impedire ai concorrenti l’esercizio del diritto di autodeterminazione in ordine allo svolgimento dell’attività commerciale, industriale o produttiva. Nell’ambito del discorso argomentativo, la Cassazione ha posto al centro dell’analisi il principio di libera concorrenza il quale discende, oltre che dalla Carta costituzionale, dalla normativa eurounitaria. Inoltre, in ossequio al principio di offensività, sono stati ritenuti elementi costitutivi del reato previsto e punito dall’art. 513-bis c.p. le condotte oggettive di violenza o minaccia, le quali delineano - in forma alternativa e non cumulativa - il fatto tipico.
Segnalazione a cura di Simona Ranisi
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