MASSIMA “In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di "partecipazione" è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza, attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l'appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi, quali, per esemplificare, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di osservazione e prova, la rituale affiliazione, la commissione di delitti-scopo, e qualsiasi altro comportamento concludente, purché significativo, in quanto idoneo, sotto il profilo logico, ad offrire la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato: non rilevano, invece, le situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale.”
IL CASO Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione trae origine dall’applicazione nei confronti di un soggetto, indagato per i reati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso e finalizzata al traffico di stupefacenti, per vari episodi di illegale detenzione e cessione di stupefacenti nonché per un'estorsione, della misura della custodia cautelare in carcere. LA QUESTIONE Il Tribunale del riesame di Lecce ha confermato l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. in sede nei confronti del ricorrente per i reati innanzi indicati. Avverso tale ordinanza, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, per violazione di legge e vizi di motivazione, con riferimento alla ritenuta partecipazione dell'indagato alle ipotizzate associazioni criminali. Invero, il Tribunale si sarebbe limitato alla mera elencazione dei singoli episodi di spaccio di stupefacenti che vedrebbero l’imputato coinvolto. A ciò aggiungasi che tutti gli aspetti ritenuti dal Tribunale del riesame sintomatici dell'esistenza di tali sodalizi (controllo del territorio, ripartizione dello stesso in distinte zone con un relativo referente, condizioni di assoggettamento ed omertà ed altro) sarebbero suffragati da fatti e situazioni a cui l'indagato è estraneo.
LA SOLUZIONE La Suprema Corte dichiarava infondato il motivo di ricorso, sostenendo che il fattore temporale non è decisivo. Invero, la prestazione del proprio contributo, da parte del singolo, all'attività illegale di un gruppo più o meno organizzato, nella consapevolezza di tale dato e per il compimento di una serie indeterminata di delitti, anche allo scopo di soddisfare concorrenti scopi personali, può senza alcun dubbio manifestarsi altresì per un lasso dì tempo più o meno circoscritto. A ciò aggiungasi che nemmeno la circostanza per cui il ricorrente svolgesse contestualmente un'attività lavorativa lecita sia sufficiente ad escludere la partecipazione ad un'associazione criminale.
Segnalazione a cura di Anna Santomasi
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