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Diritto Penale

ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE - CONCORSO ESTERNO - Cass. Sez. V, 13 settembre 2021, n. 33874

LA MASSIMA

"La responsabilità penale per il contributo fornito dal concorrente esterno a un'associazione di tipo mafioso trae origine dalla sua consapevolezza di contribuire con il suo apporto a un'attività illecita svolta in forma associata, di cui il soggetto attivo del reato conosce gli obiettivi generali e la struttura associativa, pur senza volervi aderire. Ne consegue che, attraverso la clausola prevista dall'art. 110 cod. pen., si attribuisce alle fattispecie associative una responsabilità di carattere generale per l'apporto concorsuale che l'agente fornisce al gruppo criminale senza esserne affiliato."


IL CASO


Nel caso di specie veniva confermata la misura degli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione a delinquere aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa nei confronti dell'imputata, avendo quest'ultima, in qualità di responsabile degli acquisti e direttore tecnico di un aeroporto nonché di dipendente di un istituto di vigilanza, supportato, in più di una occasione, la società a delinquere di un soggetto noto come membro attivo di organizzazioni criminali.


LA QUESTIONE


La difesa proponeva ricorso per cassazione sostenendo, tra gli altri motivi, l'incompatibilità logica e l'inammissibilità giuridica del concorso esterno nel reato di associazione a delinquere "semplice".


LA SOLUZIONE


La Suprema Corte, a sostegno della tesi affermativa rispetto alla questione oggetto del ricorso, ha ritenuto di dover considerare, nell'ambito del proprio iter argomentativo, il ragionamento giuridico introdotto dalla sentenza Mannino delle Sezioni Unite. In particolare, secondo la predetta pronuncia del 2005, affinchè sussista la qualifica di concorrente esterno, occorre rintracciare nel soggetto attivo la volontà di fornire all'associazione un supporto concreto che debba però configurarsi come prodromico rispetto al supporto della operatività dell'associazione ed alla concretizzazione dell'obiettivo illecito della stessa, pur in assenza dell'affectio societatis. Anche secondo le pronunce intervenute successivamente, dal punto di vista giuridico, è possibile inquadrare la figura del concorrente esterno mediante il combinato disposto tra una norma avente carattere generale rappresentata dall'art. 110 c.p. ed una norma di carattere speciale, ossia l'art. 416 c.p. Tale combinazione di norme non determina la nascita di una nuova fattispecie criminosa, ma si rivela essere il frutto di una interpretazione sistematica coerente con l'ordinamento, atteso che è l'intenzione, insita nel concorrente esterno, di sostenere in concreto un'associazione, evidentemente di stampo mafioso, a determinarne la reponsabilità penale. Inoltre, occorre evidenziare che dall'art. 110 c.p. discende una clausola che riconosce una forma generale di responsabilità in capo alle realtà associative. Dunque, dalla comprovata conciliabilità del concorso esterno con il reato associativo mafioso, sia dal punto di vista logico che giuridico, deriva la configurabilità del concorso esterno nell'ipotesi della associazione semplice. La Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che, sebbene le fattispecie criminose di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p. abbiano in comune, sotto il profilo strutturale, la sussistenza dell'accordo a delinquere, il numero minimo di tre associati e la disponibilità dei mezzi impiegati per il raggiungimento del fine illecito, nonché l'elemento psicologico del dolo specifico, l'aspetto che ne evidenzia la differenza è rappresentato dal clima di sottomissione che l'associazione criminosa è in grado di determinare. Secondo il Supremo Consesso, le questioni sollevate dalla difesa non appaiono condivisibili in quanto dirette ad esasperare le differenze tra le due fattispecie considerate. A tal riguardo, infatti, non è possibile ritenere che, mentre il reato di cui all'art. 416-bis c.p. sia sorretto dal dolo generico, la fattispecie criminosa ex art. 416 c.p. presupponga il dolo specifico. Parimenti, non è accettabile ritenere che il concorso eventuale relativo alla forma di associazione semplice costituisca una copia del concorso necessario, in quanto il concorrente interno ed il concorrente esterno rivestono ruoli differenti. A ciò aggiungasi che la Suprema Corte ritiene che la condotta incriminata non possa essere inquadrata nella fattispecie di cui all'art. 418 c.p. che sanziona l'assistenza agli associati, atteso che la predetta norma considera il supporto offerto ad ogni consociato e non quello fornito all'organizzazione criminale nella sua interezza. Pertanto, alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, la Suprema Corte ha ritenuto che non vi fossero motivi per negare l'applicabilità di una norma di portata generale, ossia dell'art. 110 c.p., ai reati associativi e ha rigettato il ricorso.


Segnalazione a cura di Teresa Scalera





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