LE MASSIME
L’esteriorizzazione della forza di intimidazione, come manifestazione percepibile del metodo mafioso delle associazioni riconducibili all'art. 416-bis c.p., deve essere ricercata e comprovata solo ove il gruppo criminale debba accreditarsi nel contesto sociale nel quale intende operare, e non quando esso si ricolleghi chiaramente a una organizzazione storica, della quale eredita, e ulteriormente sfrutta e consolida, il capitale criminale. Non osta, pertanto, al riconoscimento del carattere mafioso la mera presenza di gruppi in guerra tra loro, in quanto la riconduzione ad una associazione nota, risalente e temuta, consente agli associati di consumare gli eventuali reati fine attraverso la semplice evocazione, anche implicita, della capacità di aggressione e intimidativa del gruppo di appartenenza.
La circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di cui all'art. 416-bis c.p., nonostante abbia natura soggettiva e inerisca ai motivi a delinquere, si comunica al concorrente nel reato che, ove anche non associato né animato dallo scopo associativo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe.
IL CASO.
I fatti di causa riguardano la contrapposizione violenta tra nuclei familiari di ascendenza mafiosa, sfociata in una sequenza di delitti contrapposti e reciproci.
Nella prospettazione dei ricorrenti, riconosciuti dal giudice di seconde cure come partecipi del delitto di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p., l’esistenza di un gruppo organizzato armato non avrebbe il carattere di consorteria mafiosa, poiché gli atti violenti di rivalsa e vendetta, a genesi familiare e personale, attesterebbero una finalità ritorsiva e difensiva e non già l’esistenza di un programma criminoso, contraddistinto da forza intimidativa. Sulla scorta di questa premessa, il carattere armato dell’associazione, lungi dal connotare il perseguimento dei reati scopo del sodalizio, fungerebbe solo da strumento difensivo contro le altrui aggressioni.
In secondo luogo, di conseguenza, la disponibilità di armi, se preordinata all’isolata vendetta, inciderebbe anche sull’aggravante della finalità agevolatrice, che sarebbe così circoscritta ai soli partecipi al sodalizio, senza potersi estendere al concorrente esterno, da ultimo inconsapevole delle finalità tipiche della detenzione.
In ultima istanza, la censura riguarda il mancato riconoscimento della continuazione della condotta partecipativa rispetto a fatti pregressi, sol perché coperti da giudicato; in particolare, i ricorrenti lamentano che, a fronte di compagine criminale immutata, l'esclusione dell'identità di risoluzione criminosa rappresenterebbe una conclusione illogica e contrastante con l'art. 81, comma secondo, c.p.
LA QUESTIONE.
La problematica, dunque, riguarda la sussistenza del carattere mafioso dell’associazione anche quando la condotta associativa si concentra su una faida violenta tra le anime del sodalizio e, per l’effetto, si sviluppa in plurimi eventi delittuosi inscritti nel medesimo contesto di illiceità, onore e prestigio criminale. La qualificazione della compagine, per l’effetto, impatta sull’aggravante dell’agevolazione mafiosa, estensibile o meno ai concorrenti esterni a seconda che la disponibilità delle armi sia orientata al compimento di reati scopo ovvero alla mera difesa da lotte intestine.
Relativamente, poi, al disconoscimento di continuazione esterna per via del pregresso giudicato, l’interrogativo si appunta sull’idoneità dell’accertamento, in uno alla sentenza irrevocabile di condanna, a delimitare la protrazione temporale della permanenza.
LA SOLUZIONE.
La Corte Suprema evidenzia, anzitutto, che l’azione dei membri di una compagine, finanche se circoscritta a una guerra intestina e dunque non estesa al compimento dei reati fine, risente pur sempre del connotato tipico del metodo mafioso, giusta l’art. 416 bis, comma terzo, c.p.
Sul punto, il riscontro fattuale circa i vincoli di parentela, amicizia e "clientela", normalmente intercorrenti fra i membri di una famiglia mafiosa, vale a comprovare un aspetto dirimente del fenomeno mafioso: tali rapporti, invero, possono dar luogo, in virtù dei plurimi interessi economici legati agli affari illeciti, a faide sanguinarie con famiglie antagoniste, pur appartenenti alla medesima organizzazione delinquenziale.
La protrazione dei conflitti intestini alle consorterie per un tempo indeterminato recide il mero fine di vendetta dal movente di un singolo delitto contro la persona e, pertanto, confluisce a pieno titolo nella programmazione criminale dell'associazione, volta alla consumazione di una serie indefinita di delitti contro la persona.
In quest’ottica, la commissione del delitto in danno degli appartenenti all'opposto schieramento comprova il metodo mafioso, poiché preordinato all’affermazione del predominio criminale di quella fazione sul territorio e al conseguente assoggettamento; ciò è ancor più evidente, peraltro, a fronte del collegamento di un delitto a un precedente crimine ascrivibile alla famiglia avversaria.
Ne deriva, conseguentemente, l’esteriorizzazione della forza di intimidazione, che è intrinseca al fenomeno associativo quando quest’ultimo si ricolleghi a una organizzazione storica, già consolidata e affermata sul territorio in termini di forza e dominio criminale.
Se dunque il gruppo criminale si radica nel contesto già instaurato dalla consorteria, la direzione finalistica degli atti delittuosi a risolvere conflitti interni non vale a escludere il carattere mafioso: la riconduzione ad una associazione nota, risalente e temuta, consente agli associati di consumare gli eventuali reati fine attraverso la semplice evocazione, anche implicita, della straordinaria capacità di aggressione del gruppo.
Rilevata la connotazione mafiosa anche in queste fattispecie delittuose, il carattere armato dell’associazione giova a comprovarne la forza intimidativa e dunque appare preordinato al compimento dei reati fine.
In tal senso, la strumentalità dei reati, aventi a sfondo le armi nella disponibilità dell’organizzazione, al perseguimento dei reati scopo comporta una serie di conseguenze applicative, su tutte l’estensibilità all’estraneo, non partecipe al sodalizio, della circostanza aggravante di aver agito per agevolare l’attività dell’associazione, giusta l’art. 416 bis.1 c.p.
Invero, l’aggravante in esame, seppur a natura soggettiva, si comunica al concorrente nel reato fine, giacché appare conoscibile sulla scorta dell’esteriorizzazione del metodo mafioso e del carattere armato.
Inoltre, le faide interne all’associazione mafiosa, finanche quando comportano una frattura in seno al sodalizio, rilevano quanto al perseguimento del medesimo disegno criminoso da parte degli associati.
Invero, la ricorrenza di scontri intestini ha un riverbero fenomenico interno a queste strutture criminali, senza tuttavia precluderne, all’esterno, la complessiva individualità e unitaria riconoscibilità. In altri termini, il fenomeno associativo, nonostante la sua complessità, appare omogeneo sotto il profilo sia dei connotati strutturali tipici sia di quelli storico - naturalistici.
Per queste ragioni, l'accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile di condanna, se da un lato delimita temporalmente la permanenza, dall’altro non preclude il riconoscimento della medesimezza del disegno criminoso: la prosecuzione della condotta illecita, sostanziantesi in delitti contro la persona a carattere ritorsivo, è presupposto per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari episodi.
Infatti, in contesti delinquenziali ove detenzioni e condanne definitive sono accettate come prevedibili eventualità, la natura permanente del reato spiega il vincolo della continuazione, atteso che il reato stesso si presenta ontologicamente unico.
Ne deriva che il segmento della condotta associativa successiva all'evento interruttivo, rappresentato dalla sentenza di condanna, ha suo referente nel pregresso accordo per la costituzione del sodalizio.
Segnalazione a cura di Alessandro Altacera
#cassazione #sentenza #sistemadirittopenale #magistratura #avvocato #concorsomagistratura #dirittopenale #giurisprudenza #recentissimecassazione #tribunale #legge #rivistagiuridica #temadiritto #temamagistratura
Ci trovi anche
Comments