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Diritto Penale

ART. 640 cod. pen. - GIUOCO DEI TRE CAMPANELLI - Cass. Pen., Sez. II, 27 novembre 2019, n. 48159

MASSIMA “Il giuoco dei tre campanelli - e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte - di per sé non concretano il reato di truffa posto che la condotta di chi dirige il giuoco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì "una realtà" ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l'effetto della estrema abilità di chi dirige il giuoco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel "caso". Naturalmente, a diversa soluzione si deve giungere nel caso in cui all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il giuoco si aggiunga una fraudolenta attività del medesimo”.

IL CASO La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, riqualificava in termini di truffa in concorso il delitto ascritto ai due imputati che, secondo la ricostruzione della vicenda, inducevano la parte offesa a giocare al c.d. gioco dei tre campanelli tramite una falsa vincita e a profittare del carattere del tutto aleatorio del gioco stesso per farlo sperdere. Entrambi gli imputati ricorrevano in Cassazione sostenendo che tale gioco difetta degli artifici e dei raggiri quali elementi materiali del reato di cui all’art. 640 c.p., giacché l’attività di gioco non solo è lecita ma è anche priva della prova di artifizi e raggiri o manovre truffaldine.

LA QUESTIONE Nella sentenza in commento, si affronta la riconducibilità o meno del gioco dei tre campanelli (e quello analogo delle tre carte o delle tre tavolette) al delitto di truffa. Le regole del gioco prevedono che sul banco siano disposti tre campanelli che vengono rapidamente spostati; il giocatore deve individuare quale dei tre contenga un piccolo oggetto. Per valutare la sussistenza del reato ex art. 640 c.p., occorre prima delineare i suoi tratti essenziali. La condotta truffaldina consiste nell’inganno posto in essere dal soggetto agente, mediante artifici o raggiri, nei confronti della vittima che viene indotta a compiere un atto, positivo o negativo, così da realizzare una diminuzione del suo patrimonio. L’artificio si sostanzia nel far apparire come vera una situazione non riscontrabile nella realtà; il raggiro è dato da un discorso o ragionamento volto a produrre un falso convincimento della vittima. Artifici e raggiri hanno, come conseguenza dell’induzione in errore, un atto dispositivo compiuto dalla persona offesa tale da procurarle un danno patrimoniale. Al danno deve corrispondere un ingiusto profitto per l’ingannatore o per altri. Ebbene, il gioco dei tre campanelli non integra la truffa perché chi conduce il gioco non ricorre ad alcun artificio e raggiro, ma impiega solamente una particolare abilità nel muovere i campanelli. Il giocatore, dunque, non può fare affidamento su una vincita certa, accettando, invece, il rischio di perdere. Si consegue, però, ingiusto profitto quando il gioco risulta truccato mediante frode.

LA SOLUZIONE La II Sezione della Suprema Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello. Sostiene, infatti, che il gioco dei campanelli, insieme a quelli delle tre tavolette o delle tre carte, non integra il delitto di truffa, dal momento che l’estrema e veloce agilità del banco non può ascriversi né all’artifizio né al raggiro. Solo se venisse dimostrata la frode di chi esegue il gioco, potrebbe configurarsi il reato ex art. 640 c.p.. Nel caso di specie, i giudici di legittimità osservano innanzitutto che non è stata posta in essere alcuna attività di tipo fraudolento, dal momento che è stata la stessa persona offesa a determinarsi a giocare, vagliando l’opportunità di partecipare al gioco in piena libertà, senza costrizione alcuna. In secondo luogo, i giudici si focalizzano sulla presenza di un’induzione della persona offesa a giocare con il miraggio di una falsa vincita. Tuttavia, tale condotta induttiva si desume da un giudizio meramente ipotetico; né costituisce artificio o raggiro. Il gioco in esame, infatti, è caratterizzato proprio dall’inganno posto in essere dal banco nei confronti di chi acconsente a prendervi parte: l’abilità e la destrezza nel muovere i campanelli potrebbero essere vinte soltanto da una maggiore prontezza di riflessi del giocatore. La persona offesa, inoltre, non potrebbe fondare il raggiro sulla situazione di essere stata indotta a credere di possedere capacità (come lo spirito di osservazione) pari o superiori all’abilità manuale dei tenutari del gioco, tali da poter battere questi ultimi. In ultimo, la seconda Sezione sottolinea che, sulla base della ricostruzione del giudice di primo grado, nessun gioco si sarebbe in realtà svolto poiché il denaro sarebbe stato sottratto alla persona offesa senza che questa avesse materialmente puntato parte della somma. In tal caso, potrebbe delinearsi una fattispecie criminosa diversa rispetto alla truffa.



Segnalazione a cura di Vincenza Urbano

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