MASSIMA “L’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis1, c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo che risulti consapevole dell’altrui finalità”. IL CASO L’imputato viene condannato in primo grado per i reati di usura, tentata estorsione ed abusiva attività finanziaria aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa. Avverso la sentenza di secondo grado, che conferma la pena inflitta dal primo giudice, la difesa dell’imputato propone ricorso per cassazione deducendo che le due sentenze di merito, sebbene convergenti nell’esito finale, esprimono opposte valutazioni circa la natura oggettiva o soggettiva dell’aggravante contestata. In particolare, la sentenza di primo grado ritiene detta aggravante di natura oggettiva, mentre la Corte d’appello la ritiene soggettiva. La Seconda sezione penale, cui è stato assegnato il ricorso, preso atto che la divergenza di qualificazione deriva della sussistenza di un contrasto interpretativo circa la natura e il regime di comunicabilità della circostanza di cui all’art. 416-bis1, c.p., rimette il procedimento alle Sezioni Unite della Corte di cassazione. LA QUESTIONE La sentenza esamina la questione della natura e del regime di comunicabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis1 c.p., in cui è confluita la fattispecie originariamente prevista dall’art. 7, d.l. n. 151/1991 a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 21/2018, contenente la c.d. “riserva di codice”. La circostanza in esame è ad effetto speciale e può essere realizzata mediante due distinte modalità: a) impiego del metodo mafioso nella commissione del singolo reato; b) agevolazione, tramite il delitto-base posto in essere, dell’attività dell’associazione di tipo mafioso. Mentre è pacifica la qualificazione della forma sub a) in termini di circostanza aggravante oggettiva, molti dubbi si sono, invece, generati quanto alla natura della modalità agevolativa. Sul punto si sono sviluppati tre distinti orientamenti. Secondo una prima tesi, la circostanza ha natura oggettiva, con la conseguenza che, ai fini della sua comunicabilità, è sufficiente fornire la prova che l’attività criminosa è oggettivamente funzionalizzata a far conseguire un vantaggio all’associazione mafiosa. Quanto all’elemento soggettivo, la circostanza può trovare applicazione nei confronti dei compartecipi a condizione che sia da questi conosciuta, ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, secondo il disposto dell’art. 59, comma 2, c.p. Una diversa tesi sostiene, invece, la natura soggettiva della circostanza. Nell’ambito di tale indirizzo interpretativo è, poi, possibile individuare due ulteriori sotto-tesi. L’una ritiene che ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame sia necessario accertare la sussistenza del dolo specifico, cioè dell’univoca e cosciente finalizzazione agevolatrice della condotta criminosa, in capo a tutti i compartecipi. In quest’ordine di idee, la circostanza si comunica ai compartecipi solo se da questi conosciuta, mentre non si comunica se ignorata per colpa. L’altra sotto-tesi ritiene, invece, che la consapevolezza dello scopo dell’azione sia certamente essenziale ai fini della configurazione dell’aggravante, ma non occorre che tale consapevolezza sussista in capo a tutti i compartecipi. La circostanza, dunque, pur se avente natura soggettiva, si comunica ai compartecipi non solo se da questi conosciuta, ma anche se ignorata per colpa. Una terza tesi afferma, invece, che la qualificazione della circostanza come oggettiva o soggettiva non può essere effettuata aprioristicamente, ma deve essere valutata in relazione alle modalità in cui si atteggia la circostanza stessa nel caso concreto. LA SOLUZIONE Le Sezioni Unite aderiscono alla tesi soggettivistica, sul presupposto che la circostanza in parola attiene ai motivi a delinquere. Essa, dunque, esige che l’agente deliberi l’attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa, sebbene la finalità agevolatrice possa non essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi a esigenze egoistiche disparate. I giudici di legittimità chiariscono, poi, che, in ossequio al principio di offensività, tale rappresentazione deve comunque fondarsi su elementi concreti, inerenti all’esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche previste all’art. 416-bis c.p. e alla effettiva possibilità che l’azione illecita si inserisca nel novero delle utilità che l’associazione stessa può trarre. In altri termini, la volizione, che pure deve necessariamente caratterizzare la circostanza in esame, soggettiva e a dolo specifico, deve assumere un minimo di concretezza ed esteriorizzazione, pena l’inconciliabilità con il principio di offensività. Il tratto maggiormente innovativo della decisione in commento riguarda, peraltro, la soluzione offerta dalle Sezioni Unite alla questione del regime di comunicabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis1 c.p. La Cassazione, infatti, mette in discussione la tradizionale opinione secondo cui le circostanze soggettive dovrebbero essere escluse, in quanto tali, dall’estensione ai concorrenti. Detta esclusione, infatti, è sancita dall’art. 118 c.p. solo con riferimento a quelle aggravanti che, riguardando le intenzioni dell’agente, non sono neppure potenzialmente riconoscibili dai concorrenti. Il reale “discrimen”, ai fini della comunicabilità o meno delle circostanze, non attiene, quindi, alla loro natura oggettiva o soggettiva, ma alla possibilità di estrinsecazione della circostanza all’esterno. Rimane escluso dall’attribuzione al compartecipe qualsiasi elemento, di aggravamento o attenuazione del reato, che rimane confinato nel foro interiore dell’agente e, in quanto tale, non è conoscibile dai compartecipi. Ove, invece, si rinvengano elementi si fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato conosciuto dal concorrente e tale consapevolezza non lo abbia comunque dissuaso dalla collaborazione, le Sezioni Unite non ritengono che vi sia ragione per escludere l’estensione della sia applicazione. Il motivo a delinquere viene, in tal modo, reso oggettivo sulla base di specifici elementi di esteriorizzazione dell’intento dell’agente, comunque necessari ai fini della stessa configurazione dell’aggravante alla luce principio di offensività. In applicazione del criterio della consapevolezza e conoscenza dell’altrui intento agevolativo, ciò che occorre verificare è, dunque, se il compartecipe sia in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal concorrente. Tale condizione può verificarsi a seguito dell’estrinsecazione espressa da parte del coautore delle proprie finalità, oppure per effetto della manifestazione concreta degli elementi della finalità agevolatrice. Segnalazione a cura di Veronica Proietti
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