LA MASSIMA
“La circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, prevista dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, ha la funzione di reprimere il 'metodo delinquenziale mafioso' ed è connessa non alla struttura ed alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso”.
IL CASO
La pronuncia trae origine dal ricorso presentato dall’imputato avverso la sentenza della Corte d’Appello con cui era stato condannato, in concorso con altri individui non identificati, per i delitti di tentata estorsione e di illecita concorrenza mediante violenza e minaccia, entrambi aggravati dall’utilizzo del c.d. metodo mafioso di cui all’art. 416 bis.1 c.p., per aver egli costretto - in due occasioni distinte - la persona offesa a rinunciare alla vendita dei propri prodotti, per averla minacciata di morte e per averle intimato di non tornare nella zona soggetta al loro specifico controllo.
Nel ricorso si è contestata l’applicazione dell’aggravante sopra richiamata, ritenuta non configurabile, posto che la terminologia usata negli incontri con la persona offesa non era univocamente evocativa nel senso richiesto per applicare la predetta aggravante. Inoltre, a parere del ricorrente, la sussistenza della finalità di agevolare un clan camorrista attivo su quel territorio non sarebbe stata adeguatamente motivata.
LA QUESTIONE
Il tema di cui è chiamata ad occuparsi la Corte di Cassazione riguarda i requisiti richiesti per la configurabilità dell’aggravante del c.d. metodo mafioso, inizialmente disciplinata dall’art. 7 D.L. 152/1991, conv. in L. 203/1991 e ora (dopo il d.lgs. n. 21/2018, attuativo del principio della riserva di codice) dall'art. 416 bis.1 c.p.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente in relazione all’aggravante in esame, in quanto le condotte di aggressione e minaccia poste in essere presentavano le connotazioni caratteristiche del metodo mafioso ed evocavano proprio la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso. Nello specifico, è stato considerato dirimente il fatto che l’imputato e i complici avessero esplicitamente intimato alla persona offesa di non ripresentarsi nella zona sottoposta al loro comando.
Inoltre, risulta immune da censure l’affermazione della Corte d’Appello in merito alla finalità di agevolare l’organizzazione criminale operativa nelle zone ove sono avvenuti gli episodi. In particolare, è stata valorizzata l’esistenza di un forte legame fra il ricorrente e il clan, che si era addirittura fatto carico delle spese legali del medesimo.
Segnalazione a cura di Cristina Bosso
#cassazione #sentenza #sistemadirittopenale #magistratura #avvocato #concorsomagistratura #dirittopenale #giurisprudenza #recentissimecassazione #tribunale #legge #rivistagiuridica #temadiritto #temamagistratura #novità_giurisprudenziale
Ci trovi anche
コメント