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Diritto Penale

660 cp - Cass., Sez. I, 26 MAGGIO 2020, n. 15835

LA MASSIMA


“I criteri di valutazione della gravità del fatto demandata al potere discrezionale del giudice dall'art. 162 bis, comma 4, cod. pen., devono essere intesi nel senso più ampio, con riferimento ad entrambi i commi di cui all'art. 133 cod. pen., così rilevando non solo le modalità dell'azione, l'intensità del dolo o il grado della colpa, la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa, ma anche la capacità a delinquere del colpevole, desunta dai suoi precedenti penali, dalla condotta contemporanea o susseguente al reato e dai motivi a delinquere.”


IL CASO

Il Tribunale, con sentenza del 2019 dichiarava l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 660 c.p., per aver, con condotte reiterate nel tempo, recato molestia alla persona offesa. In particolare l’imputato aveva contattato ripetutamente quest’ultimo, tra il gennaio e il febbraio 2017, tramite il social network Facebook ovvero tramite l'applicativo Whatsapp, al fine di organizzare incontri o intavolare conversazioni di chiaro contenuto sessuale.


LA QUESTIONE

L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorreva per Cassazione adducendo violazione di legge sostanziale e processuale in relazione agli artt. 162 bis cod. pen., 141 disp. att. cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla reciprocità delle condotte. La difesa, in particolare, lamentava che il Tribunale avesse erroneamente respinto la richiesta di oblazione avanzata dall’imputato, ai sensi dell'art. 162 bis c.p., sul rilievo del mancato deposito degli importi previsti e senza fornire motivazione alcuna sulla gravità del reato.


LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, per mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

La Suprema Corte ha preliminarmente evidenziato che, sebbene sia l’oblazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 162, secondo comma, c.p. sia quella facoltativa, art. 162-bis, sesto comma, c.p. prevedano che l’estinzione del reato, per effetto del pagamento della somma dovuta, sia subordinata al deposito della somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda, tale disciplina vada riletta alla luce dell’art. 141 disp. att. c.p.c. Difatti, secondo l’orientamento univoco della Corte di Cassazione, il vigente codice di rito, con l’art. 141 disp. att. c.p.c., ha implicitamente abrogato la parte procedurale, relativa al deposito della somma con la domanda di oblazione, prevista dagli artt. 162 c.p. e 162-bis c.p.. Così che, nel sistema attuale, in ogni caso di oblazione, la procedura si articola nei seguenti passaggi: domanda; acquisizione del parere del pubblico ministero; ammissione con fissazione della somma dovuta; pagamento; pronuncia di estinzione del reato. Ciò nondimeno il ricorso manca di specificità, poiché il Tribunale ha giustificato il diniego dell'oblazione facoltativa con una motivazione alternativa, non solo con il riferimento (erroneo) al mancato deposito della somma, ma in primo luogo con riferimento all'apprezzata gravità del reato. Difatti, il Tribunale ha ampiamente giustificato il rigetto della domanda di oblazione, alla luce della ritenuta gravità del fatto-reato. Nella valutazione, in particolare, ha tenuto conto non soltanto della durata della condotta molesta, dell’effettiva portata delle espressioni moleste, della natura dolosa dei comportamenti, ma anche della negativa personalità del reo, già gravato da procedimenti penali, e della condotta successiva all’apertura del procedimento, avendo l’imputato assunto atteggiamenti ostili, consistiti in insulti e manifestazioni di disprezzo, nei confronti della parte lesa.

La Suprema Corte ha, pertanto, ribadito il consolidato avviso di legittimità, secondo il quale “i criteri di valutazione della gravità del fatto demandata al potere discrezionale del giudice dall'art. 162 bis, comma 4, cod. pen., devono essere intesi nel senso più ampio, con riferimento ad entrambi i commi di cui all'art. 133 cod. pen., così rilevando non solo le modalità dell'azione, l'intensità del dolo o il grado della colpa, la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa, ma anche la capacità a delinquere del colpevole, desunta dai suoi precedenti penali, dalla condotta contemporanea o susseguente al reato e dai motivi a delinquere.”

In relazione, infine, al vizio di motivazione circa la reciprocità delle condotte, la Corte di Cassazione ritiene la denunzia manifestamente infondata, in virtù della motivazione, completa, articolata e corretta in ogni suo aspetto, offerta dalla sentenza impugnata. Difatti, alla luce delle prove emerse in giudizio, risulta acclarata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato, trasparendo l'intenzione di molestare e di coinvolgere il soggetto passivo in una relazione non voluta ovvero in alcuni estemporanei incontri.


Segnalazione a cura di Marialba Giangregorio.




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