LA MASSIMA
“Al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., che ha natura di reato abituale, si applica il principio secondo il quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale; ciò in quanto, in ragione della complessiva unitarietà del fatto in rapporto all’evento descritto dalla norma incriminatrice, non può affermarsi che il riferimento ad ulteriori episodi operato dalla persona offesa nel corso del dibattimento determini una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, tale da generare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
Ne consegue che le condotte ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione non devono formare oggetto di specifica contestazione, perché si inseriscono nella sequenza criminosa integrativa dell’abitualità del reato contestato, fermo restando il principio secondo il quale il termine di prescrizione decorre dal compimento dell’ultimo atto antigiuridico come accertato in dibattimento”.
IL CASO
Con sentenza del 19 settembre 2018, la Corte di Appello ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado con cui era stata affermata la penale responsabilità dell’imputato, in danno della ex fidanzata, per il reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., la cui contestazione riportava come epoca di commissione del fatto il periodo compreso tra l’aprile 2009 e la data della denunzia-querela da parte della persona offesa, risalente al gennaio 2010.
Avverso la decisione della Corte, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo vizi motivazionali in relazione all’omessa declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione alla data della pronunzia della sentenza di appello.
Il ricorrente, infatti, argomenta che il termine di prescrizione sarebbe spirato alla data del 26 luglio 2017, sostenendo che i giudici di secondo grado hanno erroneamente ritenuto la condotta "perdurante" sino alla data della emissione della sentenza di primo grado (28 gennaio 2013), sebbene in quest’ultima si evinca che l’ultimo episodio criminoso denunciato dalla persona offesa risale al 26 gennaio 2010.
LA QUESTIONE
La sentenza in commento si focalizza sull’ipotesi di contestazione aperta del reato, che si verifica quando, nel capo di imputazione, il Pubblico Ministero indichi esclusivamente la data iniziale o la data dell’accertamento della commissione del fatto e non anche quella finale, sul presupposto che la condotta sia ancora in corso al momento dell’esercizio dell’azione penale.
Nel caso di specie, l’attenzione è rivolta alla consumazione del delitto ex art. 612 bis c.p., atteso che la relativa contestazione riporta come epoca di commissione la seguente indicazione: "dal mese di aprile 2009 con condotta tutt'ora perdurante".
Nello specifico, la persona offesa ha denunciato fatti accaduti sin dall’aprile 2009 e perduranti anche nel gennaio 2010, mese in cui è stata presentata la denunzia-querela. Nella sentenza di secondo grado, inoltre, è riportato un ulteriore episodio persecutorio verificatosi il 24 aprile 2010: sicché, il momento consumativo del reato si cristallizza in questa data.
Ne consegue che il termine prescrizionale, anche in considerazione delle sospensioni ex art. 159 c.p., è spirato in data 6 luglio 2018 e, quindi, prima della sentenza di appello.
In materia di reato di atti persecutori a “contestazione aperta” si evidenziano filoni giurisprudenziali diversi.
Ai sensi di un primo orientamento, giova evidenziare la differenza tra reati permanenti e reati abituali. In quelli permanenti, in caso di contestazione aperta, vige il principio per cui il giudizio di penale responsabilità comprende non solo i comportamenti menzionati nell’editto accusatorio ma anche gli atti cronologicamente successivi.
Nei reati abituali, invece, «le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia - e a maggior ragione - quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione».
Al contrario, in base a una seconda corrente interpretativa, la contestazione aperta degli atti persecutori consente l’estensione del giudizio di penale responsabilità dell’imputato anche a fatti che, sebbene non esplicitati nel capo d’imputazione, siano stati, però, accertati nel corso del giudizio fino alla sentenza di primo grado.
Quanto alla consumazione del delitto ex art. 612 bis c.p., essa corrisponde al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, con la precisazione che «il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale».
LA SOLUZIONE
La V Sezione della Suprema Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
La decisione di legittimità osserva che, in ipotesi di contestazione aperta, condotte ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione non devono formare oggetto di un’altra specifica contestazione. È così avvalorata la seconda delle tesi interpretative suesposte, secondo la quale il giudizio di penale responsabilità deve riguardare estensivamente anche i comportamenti successivi a quelli già individuati dall’accusa.
In virtù dell’abitualità del delitto di atti persecutori, assume rilevanza la condotta complessivamente intesa, attraverso la reiterazione di comportamenti di minaccia o di molestia che sfociano in uno degli eventi tipizzati dalla norma (perdurante e grave stato di ansia e paura; fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva; costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita).
Le singole condotte non sono, dunque, idonee di per sé a configurare il reato ex art. 612 bis c.p., poiché esse nella configurazione della disposizione perdono la loro individualità e si inseriscono unitariamente in un’unica condotta causalmente orientata alla produzione dell’evento.
Di talché, la contestazione accusatoria non richiede l’indicazione puntuale della data e del luogo di ogni singolo episodio criminoso, ma sono sufficienti la descrizione in sequenza delle condotte assunte, la collocazione temporale di massima e le conseguenze scaturite per la persona offesa.
Nel caso in esame, la persona offesa ha riferito durante il dibattimento di ulteriori episodi, verificatisi successivamente alla presentazione della data di denunzia-querela: trattandosi nello specifico di una contestazione aperta, non si è resa necessaria una contestazione suppletiva.
Alla luce delle precedenti osservazioni, la Cassazione ha chiarito espressamente che «ai fini della prescrizione del delitto di atti persecutori, il termine decorre dal compimento dell’ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa solo con la cessazione dell’abitualità».
Segnalazione a cura di Vincenza Urbano
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