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Diritto Penale

612 bis - RIAVVICINAMENTO della VITTIMA AL PERSECUTORE - Cass. pen. Sez. V, 22 giugno 2020 n. 22785

LA MASSIMA

“Il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore, non interrompe l'abitualità del reato, nè inficia la continuità delle condotte, quando sussista l'oggettiva e complessiva idoneità delle condotte a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall'art. 612 bis c.p.” (principio di diritto enunciato in richiamo della sentenza n. 46165 del 26/09/2019 ud. - dep. 13/11/2019 - sez. V).


IL CASO

Il dilemma giudiziario trae origine dall’irrogazione di un’ordinanza di aggravamento della precedente misura cautelare nell’ambito di un procedimento penale per stalking: il divieto di avvicinamento inizialmente imposto all’imputato (processato per il delitto di atti persecutori nei confronti di una donna a cui era stato legato da relazione affettiva) era stato convertito nella misura cautelare custodiale (in carcere). Suddetta misura (notoriamente intesa come rimedio di “extrema ratio”), a sua volta, era stata sostituita, in sede di appello, dal Tribunale del riesame di Genova, con quella (sempre custodiale ma meno afflittiva) degli arresti domiciliari.

Avverso l’ordinanza, la difesa ha adito la Corte di Cassazione proponendo una serie di motivi di doglianza: da un lato finalizzati a lamentare la mancata osservanza dei termini processuali legati agli adempimenti esecutivi in relazione al deposito dell’ordinanza di aggravamento (e alla relativa notifica dell’avviso)¸ dall’altro lato, orientati a rilevare l’assenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione alla commissione del delitto di cui all’art. 612 bis c.p. In merito a quest’ultima linea di censura, la difesa ha altresì evidenziato la contraddittorietà della motivazione del giudice della cautela per aver omesso di considerare una serie di messaggi amichevoli inviati dalla persona offesa, debitamente prodotti in giudizio dall’imputato, attestanti l’ambivalenza delle condotte della stessa nonché la strumentalità delle sue (due) querele.


LA QUESTIONE

La Corte di Cassazione, nonostante preliminarmente si sia determinata nel senso di ritenere il ricorso inammissibile per essere i motivi di doglianza afferenti al merito del ragionamento decisorio del Tribunale (argomentando sulla base dell’assunto per cui la difesa, essendosi limitata a rappresentare una versione alternativa e favorevole al presunto persecutore del compendio indiziario scrutinato dai giudici genovesi, abbia chiesto una rivisitazione assolutamente inammissibile), successivamente, per questioni di chiarezza espositiva, non ha mancato di formulare alcune circostanziate osservazioni: 1) in relazione al primo motivo (reputato manifestamente infondato) ha spiegato che “il ritardo, nella specie sicuramente verificatosi come dedotto dal ricorrente nell'avvisare il difensore del deposito dell'ordinanza cautelare non determina alcuna violazione, nè pregiudizio del diritto di difesa, poichè non incide sulla possibilità di far valere i vizi del provvedimento, ma solo sulla decorrenza dei termini per proporre l'impugnazione.” (Sez. 6, sentenza n. 13421 del 05/03/2019 (dep. 27/03/2019) Rv. 275983). Nel caso concreto, in effetti, la difesa, avendo avuto acceso agli atti depositati nella Cancelleria del Gip ha, ovviamente, potuto impugnare l'ordinanza di aggravamento nel pieno esercizio delle sue prerogative; 2) in relazione ai due successivi motivi (reputati altrettanto infondati), la Corte non ha ravvisato alcuna lacuna ricostruttiva nelle determinazioni del Tribunale di Genova, avendo esso, sebbene sinteticamente, comunque “dato atto della presenza degli elementi indiziari a carico dell'indagato e delle condotte di quest'ultimo che avevano determinato l'aggravamento della misura cautelare del divieto di avvicinamento, giudicando inadeguata la precedente misura, a causa della personalità dell'attuale ricorrente, dimostratosi privo di autocontrollo e della razionalità necessaria ad accettare la decisione della donna di interrompere la relazione in precedenza intrecciata e congrua la misura degli arresti domiciliari, che la difesa aveva fatto oggetto di richiesta”.

In questa linea di analisi la Corte ha altresì ritenuto che correttamente il Collegio abbia reputato non rilevanti i due messaggi inviati dalla persona offesa all'imputato, a fronte della pluralità di messaggi provenienti da questi in quel medesimo periodo (tra l’altro di contenuto minatorio e offensivo) sicché, come plausibilmente sostenuto in motivazione, non sarebbe stata provata né la falsità della querela né l'inattendibilità della persona offesa.

LA SOLUZIONE

Proprio in relazione ai presunti comportamenti ambivalenti della vittima, il Supremo Consesso ha colto l’occasione per rammentare un recente orientamento di legittimità (palesando il suo intento di aderirvi) teso a chiarire quando atteggiamenti “ambigui” della persona offesa non debbano reputarsi idonei ad interrompere l’abitualità del reato di atti persecutori: “il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore, che del resto nel caso in esame è stato solo implicitamente ipotizzato dal ricorrente, non interrompe l'abitualità del reato, nè inficia la continuità delle condotte, quando sussista - come i Giudici del riesame hanno congruamente dimostrato - l'oggettiva e complessiva idoneità delle condotte a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall'art. 612 bis c.p., Sez. V , sentenza n. 46165 del 26/09/2019 Ud. (dep. 13/11/2019) Rv. 277321.

Sulla base delle considerazioni svolte, la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che al versamento di tremila euro in favore della Cassa ammende,

Segnalazione a cura di Mara Scatigno.



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