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Diritto Penale

TRACCIA

“Poteri impeditivi e principio di legalità nei reati omissivi impropri, con particolare riferimento al direttore di un giornale online”


Svolgimento a cura di Alessandra Manca Bitti


L’ordinamento giuridico attribuisce rilevanza penale, accanto alle condotte commissive, anche alle omissioni, attraverso apposite norme incriminatrici ovvero facendo ricorso alla clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, c.p.

In particolare, in quest’ultima ipotesi, la condotta penalmente rilevante viene individuata sulla base del combinato disposto tra la fattispecie di parte speciale, a condotta libera, di volta in volta rilevante e il citato art. 40 comma 2 c.p., e si configura ogniqualvolta l’evento si verifichi in conseguenza dell’inattività del soggetto che, per legge o in ragione della particolare posizione ricoperta, aveva l’obbligo giuridico di impedirlo.

Da tale ricostruzione, pertanto, consegue che non ogni condotta omissiva è suscettibile di sanzione penale. Al contrario, elemento fondamentale per il riconoscimento della responsabilità per omissione è l’individuazione di una posizione di garanzia in capo all’agente, intesa come condizione soggettiva qualificata, alla quale l’ordinamento ricollega un preciso dovere giuridico di protezione del bene giuridico tutelato o di controllo sulle fonti di pericolo per quest’ultimo.

A ciò deve aggiungersi, necessariamente, un rigoroso e specifico accertamento dei poteri e delle prerogative attribuiti all’obbligato. Affinché possa sorgere una responsabilità in ambito penale, infatti, non si può prescindere dalla verifica della reale possibilità per lo stesso di intervenire efficacemente per evitare l’evento e, quindi, della titolarità di adeguati poteri-doveri di intervento, espressamente previsti dalla legge e azionabili nel caso di specie.

È pertanto orientamento consolidato che a ciascuna posizione di garanzia debbano sempre corrispondere specifici e adeguati poteri in capo al soggetto obbligato, non potendosi ipotizzare una responsabilità scaturente da un comportamento che, seppure astrattamente dovuto, non sia concretamente esigibile da parte dell’agente o, comunque, inidoneo a evitare l’evento.

In tal modo, la verifica della sussistenza di poteri di intervento effettivi, in uno con la necessità che l’obbligo giuridico di impedire l’evento sia individuabile in modo sufficientemente chiaro e preciso, hanno consentito alla giurisprudenza di delimitare i confini entro i quali la fattispecie incriminatrice è destinata ad operare, così connotandola di maggiore determinatezza.

Nella pratica, tuttavia, l’individuazione della fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento non è sempre agevole, soprattutto alla luce dell’evoluzione sociale e tecnologica, che inevitabilmente ha comportato l’affermarsi di figure, anche apicali, non puntualmente contemplate dall’ordinamento.

La questione appare di assoluta rilevanza e attualità con riferimento alla posizione del direttore di una testata giornalistica online e, segnatamente, all’applicabilità allo stesso dell’art. 57 c.p., che stabilisce una specifica posizione di controllo in capo al direttore e al vicedirettore di un periodico rispetto alle pubblicazioni in esso contenute.

In particolare, fermo restando l’orientamento ormai consolidato che assimila la testata giornalistica online a quella di un giornale cartaceo sul presupposto che, in entrambi i casi, si tratta di strumenti di divulgazione e di informazione equiparabili funzionalmente e strutturalmente, ci si è chiesti se, sulla base delle stesse conclusioni, sia possibile ravvisare anche in capo al direttore della rivista web i poteri di controllo di cui all’art. 57 c.p. e, conseguentemente, un obbligo giuridico di attivarsi al fine di impedire la commissione di reati.

Ebbene, le difficoltà applicative si sono poste con riferimento alla rubrica dell’articolo, che richiama i “reati commessi col mezzo della stampa periodica”, espressione tradizionalmente ricondotta alle sole riviste cartacee. Secondo parte della dottrina, pertanto, tale locuzione non potrebbe considerarsi estendibile a fattispecie analoghe non espressamente previste.

Infatti, la soluzione opposta porrebbe un problema di compatibilità con il principio di legalità, sia in un’ottica di tassatività e determinatezza della norma penale, sia sotto il profilo del divieto di analogia in malam partem. L’allargamento dell’ambito applicativo di tale fattispecie incriminatrice incontrerebbe un limite non solo letterale, in quanto la testata telematica non rientrerebbe nel concetto di stampa adottato dal legislatore, non potendosi qualificare quale riproduzione materiale ottenuta tramite mezzi meccanici o chimico-fisici, ma anche legale e di legittimità.

Un più recente orientamento giurisprudenziale, tuttavia, è giunto ad ammettere l’applicabilità dell’art. 57 c.p. anche nei confronti del direttore del periodico online. I giudici di legittimità, invero, muovendo dal presupposto dell’equiparazione, sancita dalla storica sentenza delle Sezioni Unite del 2015, tra testata giornalistica online e cartacea, supera, in primo luogo, l’argomento letterale, sottolineando che, esclusa qualsiasi forma di ragionamento analogico, le esigenze di adeguamento all’evoluzione sociale e tecnologica imporrebbero l’adozione di un’interpretazione estensiva, pienamente lecita anche in ambito penale, ispirata al rispetto della ratio e delle finalità oggettive che tradizionalmente hanno mosso il legislatore. A tale soluzione ermeneutica i giudici pervengono valorizzando gli elementi sostanziali dell’attività di pubblicazione e l’interesse che riveste la diffusione di informazioni relative all’attualità, piuttosto che il requisito formale della riproduzione materiale cartacea, da considerarsi non essenziale nella nozione di stampa.

In secondo luogo, viene posta l’attenzione sul carattere professionale delle informazioni pubblicate nella pagina web del giornale, circostanza che giustifica ulteriormente l’equiparazione delle posizioni in esame, anche in ossequio al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Ragionando diversamente, secondo gli interpreti, si ammetterebbe un trattamento diversificato a fronte di attività di redazione e gestione sostanzialmente analoghe, con l’ulteriore risultato di punire in modo maggiormente rigoroso il direttore del giornale cartaceo, caratterizzato da una diffusione minore rispetto al web e, pertanto, di portata lesiva inferiore rispetto alle informazioni immesse nella piattaforma.

Tale soluzione ha incontrato, tuttavia, la critica di parte della dottrina che, facendo proprie le argomentazioni tradizionali contrarie, ha altresì sottolineato l’incompatibilità con il sistema penale di un’applicazione indiscriminata dei principi sanciti dalle citate Sezioni Unite.

Nella pronuncia del 2015, infatti, l’equiparazione delle due testate giornalistiche era finalizzata all’esigenza di estendere un trattamento di favore nei confronti del giornale online, costituito dalle garanzie costituzionali previste in materia di sequestro. Nel caso dell’art. 57 c.p., invece, l’attività ermeneutica proposta dalla giurisprudenza condurrebbe all’estensione dell’ambito applicativo di una fattispecie incriminatrice, con l’effetto di peggiorare la condizione del direttore in assenza di espressa previsione normativa e, come tale, incompatibile con il sistema penale.

Parimenti, la dottrina sottolinea la difficoltà di ammettere una tale ricostruzione anche sotto il profilo dell’esigibilità di un comportamento impeditivo dell’evento da parte di quest’ultimo. Ciò in considerazione dell’intrinseca differenza strutturale e organizzativa del quotidiano online, che non consentirebbe lo svolgimento di un’attività di incisivo e tempestivo controllo sul contenuto degli articoli e, quindi, l’individuazione degli effettivi poteri impeditivi richiesti ai fini di un addebito di responsabilità penale.


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